Mentre l’attenzione globale è attanagliata dall’islàm (italiotamente ìslam), io desidero ricordare un popolo nobile e dignitoso, che detiene una precisa ed orgogliosa cultura e, quindi, identità.
Un popolo di fieri guerrieri, che tuttavia mai ha invaso, ucciso per conquista, prevaricato: i miei Amici Masai.
I masai sono una popolazione nilotica, appartenente ad uno dei tre ceppi biblici dei figli di Noah: i Camiti o Hamiti, nelle molteplici varianti ed interpretazioni.
I Masai hanno un credo monoteista.
Sono rari i casi di conversione alle religioni monoteiste importate nelle loro contrade, islàm o cristianesimo.
Così come gli Scozzesi nel Regno Unito, anche i Masai, qualora vivano e lavorino nelle grandi città dei loro paesi (Nairobi – che in lingua masai significa “acque fredde” -, Dar es Salaam etc), non rinunciano ad esibire segni di appartenenza etnica.
Una Masai impiegata bancaria mostrerà segni (braccialetti, coiffure, teli) volutamente denonanti la sua appartenenza.
Agli inzi del VIII secolo i Masai, la tribù nilotica più a meridione nella parte orientale del continente, affrontò, sconfisse ed arrestò la risalita verso nord delle popolazioni bàntu degli Zùlu.
Ma, pur essendo una popolazione dominante, mai i Masai presero parte allo “slave trading”, ampiamente praticato da altre tribù est africane ai danni di etnie contigue.
Gli occidentali – per ragioni che a me, personalmente, sfuggono – amano autoaccusarsi ed autoflagellarsi.
Lo schiavismo, sulle regioni atlantiche così come in Africa orientale, ebbe sempre un momento di partenza intertribale.
Sulle coste atlantiche i trafficanti di schiavi europei si guardavano bene dal penetrare nell’entroterra per cacciare e catturare le “merce”.
Questa veniva loro comodamente recapitata FOB (free on board) da africani, che aveveno catturato e precedentemente schiavizzato altri africani.
I “negrieri” erano mediatori, che rivendevano nel Nuovo Continente.
Idem ad oriente.
Sulle coste dell’Oceano Indiano i mediatori erano gli Arabi omaniti, tradizionale popolazione di navigatori e pirati.
Gli schiavi africani venivano catturati all’interno da altre tribù, altrettanto africane.
Ad esmpio i Chaggha del Kilimanjaro.
Nell’archivio nazionale di Zanzibar si trovano registri che danno conto con precisione ragionieristica di oltre seicentomila transazioni su singoli schiavi, destinati ad Arabia Saudita, India, persino Cina (dove i negri non fecero razza, perchè, a scanso di complicazioni, i maschi venivano castrati).
Seicentomila non sono, ovviamente, tutti.
Abbiamo mai visto un Omanita autoflagellarsi per appartenere ad un popolo di “slave traders” ?
I questo panorama i Masai, etnia dominante, rifiutarono di praticare lo schiavismo.
Ma, di converso, nessuno si sognò di andare a catturare Masai per rivenderli come schiavi.
I britannici arruolarono nelle loro truppe coloniali africani di tutti i tipi ma evitarono di coscrivere i guerrieri Masai.
Un popolo che, pur senza sviluppare una particolare potenza militare, nella Storia, grazie al proprio orgoglio culturale ed identitario, è riuscito a farsi rispettare.
L’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle, i Masai, che non hanno alcun particolare rapporto con gli USA, vollero dimostare solidarità al Paese colpito dal terrorismo islamico:
“Nel giugno del 2002 gli anziani Masai hanno benedetto 14 mucche. animali sacri per loro.
Dopo la benedizione, le vacche sono state mandate negli USA, per mostrare il supporto dei Masai agli Stati Uniti”.
Enzo Tosi