Champagne, sigari e cioccolato, tre insostituibili fonti di piacere anche nel Millennium degli analfabeti dell’arte di vivere

Champagne

 

Adoro lo champagne, l’ho frequentato a lungo durante la mia vita precedente, in quel di Bruxelles e Parigi.

Non me ne vogliano gli amanti del nostrano Prosecco ma nulla è paragonabile alle bollicine d’oltralpe: bevetelo ghiacciato, sorbito da una flute comme il faut, cioè non troppo stretta, un po’ bombata e lasciate fluire in gola quelle bollicine “pétillantes” dal sapore ambrato.

Un piacere unico, tanto che volentieri ci farei un bagno, come uno dei personaggi di un libro di Amélie Nothomb, alla faccia di Poppea e del suo latte d’asina.

E poi solo la fonetica incantevole: champagne…leggera, sognante, aristocratica.

Il mio preferito è il Cristal Rosé Roederer che mi ha lasciato un ricordo assolutamente unico.

Ai tempi collaboravo a una rivista patinata, L’Evénément, ove ero specializzata in grandi interviste e reportages. 

Venni invitata alle celebrazioni per il centenario della Maison Roederer a San Pietroburgo, essendo stato lo champagne prediletto dello Zar Nicola II lo che nominò fornitore ufficiale della Corte Imperiale Russa.

Partimmo da Charles De Gaulle, giornalisti scelti di ogni Paese e fummo ricevuti a bordo con una flute, e un toast al caviale, tanto per metterci già nel mood. 

Le celebrazioni, in presenza di Madame e Monsieur Rouzaud, i proprietari di questa incomparabile ambrosia terrena, durarono tre giorni, tre giorni di agapi tra serate al Bolshoi e pranzi sontuosi nei ricchi palazzi  delle famiglie aristocratiche che, grazie alla perestroika, erano riusciti  a riprenderne possesso.

Al termine del viaggio fummo omaggiati di un magnum di Cristal millesimato che consumai con Laura e Claudia Bisogniero, ambasciatore italiano presso la NATO negli Usa, a quei tempi consigliere presso la nostra ambasciata a Bruxelles.

Ma la crisi morde e il Cristal è divenuto inabbordabile per noi poveri piccoli “ritals” come venivamo allora denominati in Francia.

Più abbordabile è la Vedova, la Veuve Cliquot, appartenente alla famiglia Vuitton che il goloso Monsieur Arnault ha ingoiato in un sorso solo nel suo Impero del lusso.

Louis Vuitton, per l’appunto, omonimo nipote del geniale fondatore, era un amico che vedevamo spesso quando ci recavamo a Parigi.

Grande amante dei cavalli, oltre che gran signore, possedeva una profonda cultura ed era un vero piacere cenare insieme al Boeuf sur le Toit , a due passi dai Champs Elysés con ostriche e il suo champagne, ça va de soi.

Fra i grandi consumatori vi erano anche i diamantari di Anversa che frequentavo molto.

Persone provviste di una grande autoironia oltre che una grande ricchezza.

I loro matrimoni e Bar-Mitzva, che corrisponde alla nostra Cresima erano degli eventi inenarrabili durante i quali lo champagne colava a fiumi per poi mandare in frantumi le coppe in segno di augurio.

Ahimé l’argent a passé de main, come dicono così bene e con elegante discrezione i miei amati Galli, ed oggi dobbiamo rassegnarci a vedere un certo Monsieur Hollande o un arricchito qualsiasi  godere di questa incomparabile ambrosia.

Quel gachis…direbbero a Parigi, che spreco, diciamo noi Italiani.

Lo stile è morto W lo champagne!

 

 

Cioccolato, il gusto del peccato.

 

Il più dolce peccato di gola e, se volete peccare nel più lussurioso dei modi volate  a Bruxelles, patria del vero cioccolato.

I nostri politici lo sapranno e chissà quante note spese avranno emesso al riguardo, oltre ai calzini e al barbiere.

I Maestri cioccolatai belgi sono i migliori del mondo, non credete ai parigini che vorrebbero detenere anche questo primato, a loro lo champagne deve bastare.

Lo sapevate che la pralina è nata proprio a Bruxelles, inventata dal pasticciere Jean Neuhaus nel 1912 e che nella capitale europea esiste addirittura un cioccolataio, di nome Irsi, dove si comprano cioccolatini freschi di giornata?

E poi c’è Marcolini, figlio di nostri emigrati, divenuto una star con tanto di boutique anche a Parigi.

A pensarci bene il cioccolato è fra le prime droghe “benefiche” della Storia.

Gli Aztechi, che lo chiamavano “cibo degli dei”, già conoscevano le sue virtù afrodisiache e lo propinavano agli sposi per la prima notte.

Nel 1570 sbarca in Europa grazie agli Spagnoli che lo consideravano un ottimo rimedio contro la debolezza, tanto da diventare la bevanda preferita del clero, attenuando la fame in periodo di digiuno.

Ma ecco che sorge una controversia: il cioccolato è un alimento o una bevanda?

Un goloso cardinale trancia la questione: il cioccolato non può essere considerato un alimento dunque non rompe il digiuno…

Il cioccolato è risaputo, si rivela un euforizzante dai poteri afrodisiaci.

Lo sapeva la Pompadour, reputata godereccia che, oltre aver lanciato la moda delle coppe di champagne a misura dei suoi seni, soleva portare a  Re Luigi XV, una tazza di cioccolata fumante mescolata all’ambra grigia, dolce preludio a una notte coquine,.

Nel Settecento impazza anche in Italia, tanto che Goldoni nelle sue commedie non manca mai di far gustare ai suoi personaggi una tazza di cioccolata.

Come mai so queste cose?

Perché, ai tempi della mia vita a Bruxelles realizzai un Dossier Chocolatissimo, svelando vizi e virtù dei grandi cioccolatai.

Per quindici giorni ne mangiai a go-go, il che mi provocò una storica indigestione.

Il fatto è che anche per il cioccolato ci vuole cultura, cosa di cui trent’anni fa il nostro De Benedetti soffriva di una seria lacuna, forse non leggeva i suoi giornali?

Fatto si è che, volando nella capitale europea sicuro di conquistare la Société Générale, si recò dai vertici portando in dono una scatola di cioccolatini del torinese Peyrano.

E poi si sorprese di non aver concluso l’affare…

Un’aneddoto di cui si parla ancora nei salotti bene di Bruxelles facendosi des gorges chaudes, letteralmente scaldandosi la gola, ridendo della sua dabbenaggine. 

Ma ora un dilemma si pone: Casanova affermava che “in amore, il cioccolato è più efficace dello champagne”.

Io proporrei di farli convivere, onde potenziarne gli effetti.

 

 

Il sigaro, un peccato che se ne va in fumo

 

Simbolo di potere e ricchezza, profuma di tempi ormai tramontati in cui un buon Habana era il compagno ideale per suggellare una serata di lusso e voluttà, oppure per firmare un contratto d’affari d’alto bordo.

Ricordate il film Borsalino, con Jean-Paul Belmondo che rese il sigaro addirittura sexy?

Tanto che all’epoca  le signore ben  volentieri sopportavano l’odore acre e persistente che impestava tendaggi e tappezzerie per due ragioni: significava avere un marito ben inserito nella società e le foglie di tabacco erano un ottimo spunto per i regali destinati a lorsignori: dal coupe-cigares, alla scatola dei Partagas foglia verde, molto ambiti, dagli esperti in materia, fino ai cofanetti in legno prezioso con tanto di umidificatore di cui lo svizzero Davidoff aveva fatto un “must” assai caruccio.

Era d’uopo intraprendere un viaggio per Ginevra e recarsi alla casa-madre che proprio con i sigari fece fortuna: Davidoff n1, n2…e che poi si diversificò con svariati gadgets sul tema.

Hermès non fu da meno con i suoi celebri posaceneri quadrati che li potevano ospitare in maniera confortevole, nonché autorevole.

E se un amico si azzardava ad annunciare un suo prossimo viaggio a Cuba, se ne partiva con una pletora di richieste di scatole di Romeo y Julieta, di cui ricordo ancora l’etichetta variopinta e rétro.

Le cene terminavano nel fumoir, – altro spazio ormai dimenticato fra leggi e divieti che resiste ancora in Gran Bretagna e in certi Paesi del Nord Europa – ove i signori in doppio petto gessato si ritiravano con un bicchiere di cognac o di Calvados e i loro amati sigari.

Uno spazio for gentlemen only che aveva un suo perché, uno luogo prettamente maschile ove venivano a galla confidenze e segreti, impronunciabili in presenza delle dame.

Ora io non ho più marito, da anni non ho più visto un Habana, ma almeno mi rimangono i posaceneri Hermès…

Il sigaro era anche un segno di trasgressione, di provocazione intellettuale, soprattutto al femminile, basti ricordare Frida Khalo, la scrittrice Colette o, più recentemente, l’attrice Demi Moore.

In Olanda tuttora molte donne lo fumano e pure a Varese ve n’è qualcuna che in maniera elegante si dà a tal piacere.

Indimenticabile l’immagine stilosa di Churchill sempre accompagnato dal suo sigaro, ma ora chi rimane?

Anche questo mitico oggetto del desiderio ha cambiato di mano: a parte i parvenu non rimane che Donald Duck, pardon, Donald Trump che immagino stravaccato nella sua poltrona nello studio ovale, con il suo gatto giallo in testa  sfumacchiando  il sigaro con i piedi su quella scrivania che ha ospitato dei grandi uomini.

 

Champagne, cioccolato, sigari: addio innocenti peccati veniali,  ormai siamo ripiombati nell’epoca dei barbari che nulla hanno a che fare con codeste delicatezze!

Nicoletta Romano