Se devo trovare un aggancio tra la mia vita e il cioccolato, inevitabilmente il pensiero torna agli anni in cui ero bambino/ragazzotto.
Papà produceva panettoni, grissini, colombe, pandori, panfrutti e altro ancora nell’azienda di Vedano Olona, prosecutrice della tradizione (legata al nonno e a un suo parente) della “Vanetti & Gandini – biscotti e grissini” di Giubiano, oggi purtroppo ridotta a semi-rudere e a “hotel dei poveri” della città.
Bene, di fronte a tante leccornie, era inevitabile procedere con qualche saccheggio: lo sapete, per dire, che la pasta cruda del panettone, già infarcita di uvette e canditi, è squisita?
E che gli stessi canditi sono una manna del cielo?
Le zampe, pertanto, finivano negli impasti (con relativa sgridata, perché le ditate rimanevano eccome) o nelle latte degli ingredienti di complemento.
Ma papà, oltre alla parte industriale, gestiva una seconda unità dell’azienda, dedicata al commercio: banalmente, comperava all’ingrosso vari prodotti di più ditte (Colussi, Pavesi, Saiwa, Galbusera, Perugina, Dufour e molte altre ancora) e poi li rivendeva al minuto ai negozianti e/o ai primi supermercati nel frattempo apparsi.
Così un bel giorno io e il figlio del custode dell’azienda, con cui mi trovavo spesso per giocare a pallone nel grande piazzale d’arrivo dei camion, decidemmo di cambiare obiettivo: basta attacchi agli impasti e avanti con i cartoni e le confezioni del magazzino.
C’era un vantaggio, di ordine operativo: si dava meno nell’occhio, aprire una scatola di un blocco di dieci/venti significava mascherare meglio la “rapina”.
Il cioccolato era uno dei bersagli.
A me è sempre piaciuto quello al latte e perfino quello bianco, ben sapendo che la cosa fa tuttora inorridire i puristi.
Ve lo ricordate il Carrarmato della Perugina?
Ecco, era in cima alla lista.
E non solo il Carrarmato: il Mon Cheri Ferrero, per dire, era un’altra preda top anche perché, contenendo il liquore, dava il senso della trasgressione.
Il magazziniere capo impazziva perché qua e là trovava confezioni sabotate, per le quali doveva dare conto a papà.
E noi smentivamo di avere a che fare con i furti: poteva starci, o no?, che fosse qualche dipendente che voleva farsi uno spuntino.
Ma un bel giorno capitò il patatrac, anche per la legge dei grandi numeri.
Avevamo preso di mira degli splendidi boeri e stavamo per fare la festa a una scatola, oserei dire, magnum.
Sfiga volle che papà capitasse dalle parti dello scaffale, probabilmente per caso dal momento che stava andando a visionare una zona del magazzino.
Io non avevo boeri in mano, Giuseppe sì.
Anzi, fu colto nell’atto di ingoiarlo.
Una volta deglutito, con il volto paonazzo dalla vergogna, gli scappò, in dialetto, un indimenticabile “sciùr Vanetti, el m’è scarligaa in boca…”.
Flavio Vanetti