Le manie di Hemingway

Per associazione di idee, è facile accostare la parola ‘sigari’ all’Havana e quindi a Cuba.

Quando mio marito ed io siamo stati là nel 1984, Fidel Castro aveva appena concesso la possibilità di visti turistici.

Ne abbiamo usufruito tra i primi, grazie ad un congresso mondiale del turismo, indetto proprio all’Havana, per il quale ero delegata italiana. Mio marito, invece, appassionato lettore di Hemingway, di cui aveva letto tutti i libri, sognava di vedere i luoghi e la casa del suo beniamino e ci riuscì, nonostante allora, tutto quello che avesse odore di statunitense, fosse assolutamente interdetto sull’isola.

Una mattina dovetti chiedere alla reception del nostro albergo come raggiungere la villa Finca Vigia a San Francisco de Paula, luogo di dimora dello scrittore.

In cuor mio speravo che mi cacciassero con improperi per la richiesta riguardante un personaggio americano.

Non ero interessata e non volevo andare, ma mi dispiaceva contrariare mio marito.

Invece tutto andò liscio perché Hemingway era ancora amato e rispettato, anche dal regime.

Ci diedero le indicazioni per raggiungere la casa a quaranta chilometri dalla capitale e ci chiamarono un taxi.

Dopo un’ora e mezza di strada più o meno praticabile per le buche e il traffico di carretti e vecchi camion, arrivammo in un posto stupendo tra palmizi e alberi profumati.

Una bianca costruzione a due piani con una torretta, tutto in ottimo stato, si offrì a noi meravigliati.

All’interno, ogni ambiente aveva un guardiano in divisa, per la maggior parte ragazze di colore, che ci guardavano con curiosità.

C’eravamo solo noi, nessun altro visitatore.

Ci chiedemmo per chi avessero restaurato quella casa vuota dal 1951 e perché tante persone a guardia del sito.

Pensai perfino che avessero aperto la casa e mandato custodi solo per noi, sapendo della visita.

Anche per il nostro tassista, nero come la cioccolata, era la prima volta, ma non entrò, si fermò fuori, fumando l’immancabile sigaro cubano.

Una delle ragazze ci disse che da quando l’ingresso a Cuba era stato interdetto agli americani, le visite a quel luogo erano limitate ai soli residenti dell’isola e a qualche europeo.

L’interno mi sembrò molto bello, ben arredato e pulito, luminoso per ampie finestre e terrazzi con vista.

Nel soggiorno c’erano le bottiglie d’epoca dei liquori amati dallo scrittore, oltre ai bourbon, anche Martini e Campari.

Alcune contenevano ancora un accenno di liquido, altre solo un rimasuglio denso e cristallizzato, ci spiegarono che erano originali del tempo in cui la casa era stata abitata.

Hemingway beveva molto ma fumava poco, infatti nell’album di foto posto su di un tavolo, trovammo tante immagini di lui con il bicchiere in mano, ma due soltanto da fumatore, una con un sigaro Havana, nascosto tra le dita e una con la sigaretta.

C’erano tanti letti, quasi in ogni stanza, segno di inquietudine notturna. Tutti sapevano che “l’americano” si spostava da un lato all’altro della casa, cercando un posto che gli conciliasse il sonno.

Ogni mattina, poi, si pesava, ossessionato dal proprio volume.

Nel bagno, sul muro vicino alla bilancia, stavano scritti a matita la data e il peso in libbre di ogni giornata.

Scaffali con libri in numero giusto, senza esagerare, completavano l’arredo dello studio e del salotto.

Quasi tutti in inglese, alcuni in spagnolo, la maggior parte forse aggiunti dopo, per ripristinare l’atmosfera colta di chi aveva abitato la villa.

Nella dependance erano ammucchiate in più posti tante vecchie canne da pesca, grandi, piccole, da traina, da scoglio e c’era anche un enorme cesto con fili d’acciaio per la pesca d’altura.

Mancavano tutti i mulinelli, sicuramente, nel tempo erano serviti alla gente del posto.

Restammo oltre un’ora nella villa, in tutta libertà

Mio marito girava estasiato, guardando ogni dettaglio e si figurava lo scrittore in ogni dove.

Anch’io ero, tutto sommato, contenta di quella scoperta: un personaggio fino ad allora per me indifferente, aveva preso forma e personalità.

Forse, tornando a casa, avrei letto qualche suo romanzo.

Irene di Paola