Fidel Castro

Gli scritti che nel tempo ho dedicato a Fidel Castro, l’autocrate, l’ultimo gigante, con la cui dipartita si chiude definitivamente il novecento. – MdPR

 

I semafori de L’Avana

 

“Sai?

A L’Avana ho trovato molti più semafori di prima.

Sono aumentati per via del traffico, ovviamente.

Per decenni, in giro, pochissime auto, vecchie, americane.

Quei carrozzoni colorati e tenuti insieme con lo scotch, pareva.

Oggi, non poche quelle nuove o pressappoco.

Dici che è un segno di progresso, di un benessere economico in divenire?

Sarà…

La vedo diversamente.

Fidel è fuori gioco volutamente e Raul non ha le sue capacità, gli manca ‘le phisique du role’.

E le cose peggiorano, ecco.

Ricordo la Cuba, l’Avana di Fulgencio Batista.

Casinò e casini, nient’altro.

Poi, Fidel fece saltare il banco.

E, da quel perfetto autocrate che è, mise in piedi qualcosa nelle intenzioni simile a un santuario.

Via la mafia americana con l’azzardo e la prostituzione organizzati.

Un deciso stop al progresso.

Un ritorno alla Cuba d’un tempo.

Hai presente il dottor De Francia e il suo Paraguay o quanto scritto da Rousseau nella sua introduzione alla costituzione della Corsica?

Non altrettanto feroce, ma in quella direzione.

E l’istruzione per tutti.

E la sanità migliore.

E l’assoluto divieto all’uso della droga.

E nessun mendicante in giro.

E via libera, che se ne andassero, a quanti non ci volevano stare.

E soprattutto nessuna voce al popolo, per carità.

Sapeva bene Fidel come stavano le cose.

Lo aveva imparato a sue spese a Bogotà, anni e anni prima.

Il giorno in cui uccisero Eliecer Gaitan, il 9 aprile del 1948, per la precisione.

Nella conseguente sommossa, con i dimostranti che aveva intorno, aveva fermato un autobus con l’intento di andare alla sede nazionale della radio colombiana e parlare alla gente.

E che gli capita mentre sale sul mezzo?

Capita che gli rubino il portafoglio.

Capì allora, fu certo da allora, che il popolo va guidato con mano ferrea perché non è in grado di governarsi.

Rubargli il portafoglio in quel momento?

Inconcepile!

E L’Avana è stata quella che voleva.

Gli è riuscito – cosa unica o quasi – di salvarla dal suo futuro.

Ma, ti dicevo, aumentano i semafori, aumentano le macchine, segno di ‘progresso’.

Tornerà Batista, tornerà la mafia, tornerà la prostituzione organizzata, arriverà la droga, quel mondo finirà.

Spero solo che Fidel, l’ultimo gigante del Novecento, muoia prima”.

 

11 ottobre 2016

 

 

Fidel Castro e il comunismo

 

Molto si è disputato a proposito del comunismo  e di Fidel Castro e, in particolare, riguardo al momento nel quale egli aderì effettivamente al marxismo.

Ora, contrariamente a quanto da più parti è stato sostenuto, nel 1956, quando Fidel sbarcò a Cuba, la sua posizione ideologico/politica non era chiara ma non aveva mai avuto a che fare con il partito comunista cubano (il cui nome era Partido Socialista Popular) del cui apparato giovanile aveva invece fatto parte il fratello Raul.

D’altronde, il citato PSP, che durante la seconda guerra mondiale aveva addirittura partecipato a uno dei governi presieduti da Fulgencio Batista, riteneva, almeno fino al 1958, che il capo guerrigliero altro non fosse che un putschista velleitario.

Solo quando fu evidente che l’avventura castrista si avviava verso una felice conclusione, e appunto nel 1958, Carlos Rafael Rodriguez – membro del comitato centrale del PSP – si recò all’accampamento di Fidel, in montagna, e propose l’appoggio, accettato, dei comunisti cubani.

Una volta al potere, Castro si spostò sempre più a sinistra, ma fu solamente nell’aprile del 1961, dopo lo sbarco e lo scontro della Baia dei Porci, che annunciò ufficialmente che “Cuba era uno Stato socialista”.

Nel dicembre di quello stesso anno, infine, affermò anche di “essersi personalmente convertito al marxismo/leninismo”.

Così, i comunisti cubani, fino ad allora semplici fiancheggiatori anche se con sempre maggiore voce in capitolo, furono integrati nel ‘Partido Revolucionario’ che finì per chiamarsi ‘Partido Comunista Cubano’.

Peraltro, ancora l’anno dopo, Castro riaffermò in certo qual modo la propria indipendenza esiliando il capo marxista Anibal Escalante che sembrava avviato verso incarichi pubblici di alta responsabilità.

La collocazione temporale susseguente alla Baia dei Porci delle rammentate dichiarazioni di adesione al socialismo da parte del ‘lider maximo’ ha dato motivo a molti di sostenere che un differente atteggiamento delle amministrazioni Eisenhower e Kennedy durante la lotta e subito dopo la presa del potere (L’Avana cade il primo gennaio del 1959) avrebbe potuto impedire l’abbraccio tra Cuba e l’orso sovietico.

 

da ‘Il continente della speranza? Storia e storie dell’America Latina’, giugno 2010

 

Il portafoglio di Fidel Castro

 

Al di là e al di sopra degli ideali e delle ideologie, molto spesso, gli atteggiamenti dei grandi uomini sono determinati da episodi ‘minori’, a volte persino insignificanti se non per la persona direttamente coinvolta, che, però, ne ‘costruiscono’ il carattere.

Si pensi, per esempio, al giovane Fidel Castro che, ai primi di aprile del 1948, leader studentesco della sua Cuba, guida in Colombia una delegazione di universitari ad un congresso di studenti latinoamericani che si riunisce a Bogotà.

La sua posizione intellettuale e politica è decisamente antiimperialista ed antistatunitense ma molto più in senso peronista, nazionalista e populista che comunista.

Castro è appena arrivato, che il 9 aprile viene assassinato il locale, famosissimo esponente liberale Jorge Elicer Gaitàn.

Segue, immediata, l’insurrezione!

Fidel, dopo aver invano cercato di far unire ai rivoluzionari la polizia (che, pur favorevole, resta in caserma), radunato un gruppo di facinorosi, monta su un autobus per andare ad occupare l’emittente radiofonica nazionale.

Ecco, al riguardo, cosa racconterà anni dopo:

“Salgo sull’autobus e mentre salgo mi rubano il portafoglio.  Quando arrivai in Colombia mi dissero: ‘Attento che non te ne andrai dalla Colombia senza essere derubato’.

Ciò che non avrei mai potuto immaginare è che in mezzo ad una sparatoria, mentre salgo su un autobus per andare alla radio, mi rubassero il portafoglio dove mi rimanevano pochi soldi…

E se lo racconto è perché sappiate che dopo aver arringato l’esercito, mentre prendo l’autobus, mi rubano il portafoglio, così che tra quelli che ci appoggiavano c’erano anche i borsaioli”.

Come ricorda Incisa di Camerana nel suo ‘I caudillos’, Castro, infuriato per quanto accaduto, invece di prendere d’assalto la radio colombiana, entrò in un bar e prese un caffè senza pagare.

Da qui la profonda ripugnanza del futuro ‘lider maximo’ per i moti di piazza e le insurrezioni popolari e la sua convinzione che le folle non accettano capi.

Non il popolo, quindi, ma l’elite borghese, intellettuale e studentesca dovrà essere protagonista del cambiamento: il capo sarà così designato da una minoranza eroica.

Dal popolarismo all’elitarismo in un minuto!

 

da ‘Il continente della speranza? Storia e storie dell’America Latina’, giugno 2010

 

Fidel Castro e ‘C’era una volta il West’

 

Anni orsono, vergai le righe che seguono.

Le ripropongo oggi, in morte di Fidel Castro.

Fu l’accadimento del 2006 dal quale parto il primo segno di ‘apertura’ o di ‘cedimento’, a seconda del punto di vista, del regime.

Lo scrissi allora, lo confermo adesso.

 

E così, nella primavera del 2006, sia pure strettamente sorvegliati ed assolutamente blindati, nella Cuba di Fidel Castro, finalmente, i molti dissidenti hanno potuto riunirsi in assemblea senza che il ‘lider maximo’ si opponesse e, magari, ne spedisse qualcuno in gattabuia.

Che dire se non che un cotale accadimento è da considerare il primo vero segno di decadenza dell’autocrate cubano?

Fidel avrebbe dovuto ben sapere che mai nulla e per nessuna ragione deve essere concesso agli avversari ove davvero si voglia conservare il potere.

Così, infatti, insegnano i precedenti storici (uno dei quali lo riguarda personalmente), così, soprattutto, spiega benissimo la trama del più grande western ‘italiano’: ovviamente, ‘C’era una volta il West’ dell’ottimo Sergio Leone.

Guardando alla storia, come non ricordare che la cruentissima Rivoluzione Messicana prese l’avvio da un consimile ‘abbassamento della guardia’ da parte dell’allora dittatore di quel Paese Porfirio Diaz?

Intervistato da un giornalista americano in vista delle presidenziali del 1910, si lasciò scappare che non sarebbe stato male se, dopo decenni, un ‘vero’ oppositore del suo regime si fosse presentato in alternativa.

Francisco Madero lo prese in parola e si candidò.

Diaz, naturalmente, lo mise in galera e vinse, ma fece l’errore di farlo rilasciare subito dopo consentendogli così di chiamare i messicani alla Rivoluzione.

Pagherà abbandonando il Paese in fiamme (“Madero ha liberato la tigre; vedremo se sarà capace di domarla”, dirà in quei momenti), rifugiandosi in Francia e morendo a Parigi.

Nel medesimo errore cade molti anni dopo un certo Fulgencio Batista: padrone di Cuba, concede la grazia a un giovane rivoluzionario che ha cercato di abbatterlo e lo esilia.

Passa relativamente poco tempo e quello stesso giovanotto torna per combattere, si rifugia sulla sierra e, alla fine, riesce a cacciarlo a pedate.

Il suo nome è Fidel Castro!

E veniamo a ‘C’era una volta il West’.

Chi è Armonica (Charles Bronson), il misterioso vendicatore che vuole uccidere Frank (Henry Fonda) a tutti i costi, se non quel bambino al quale il medesimo Frank, anni ed anni prima, aveva risparmiato la vita dopo averlo costretto a sostenere fino allo sfinimento sulle spalle il peso del fratello di poi strozzato dalla corda che il ‘cattivo’ gli aveva legato alla gola?

Se a quel momento invece di limitarsi ad invitarlo a suonare appunto l’armonica che gli mette in bocca, Frank lo avesse eliminato ne avrebbe ovviamente evitato la vendetta.

Un dittatore che si rispetti (e lo stesso Fidel si era finora sempre comportato ‘comme il faut’) non può avere cedimenti di alcun genere.

Guardando a Cuba, dopo la riunione di cui si è parlato, si avvertivano come detto i primi scricchiolii.

Il regime cominciava a vacillare.

 

26 novembre 2016

 

Fidel Castro
Fidel Castro

 

L’1 gennaio 1959 Castro non entrava all’Avana

 

 

L’1 gennaio cade l’anniversario della vittoriosa entrata a L’Avana dei rivoluzionari castristi.

Per la storia, la colonna di rivoltosi che nel primo giorno dell’oramai lontano 1959 occupò la bella capitale cubana non era al comando del ‘lìder maximo’ Fidel Castro ma sotto gli ordini sia del mitico Ernesto ‘Che’ Guevara che del comandante Camilo Cienfuegos, personaggio, quest’ultimo, altrettanto interessante ma assolutamente ignoto ai più anche perché scomparso, di lì a poco, quando l’aereo sul quale si era imbarcato, misteriosamente, precipitò in mare.

Incredibilmente, tra i guerriglieri che entravano a L’Avana, le cineprese scoprirono la celeberrima star hollywoodiana Errol Flynn, che, come risaputo, era sempre stato ‘di sinistra’ tanto da essere più volte accusato da parte dell’FBI di essere una ‘spia rossa’ al soldo del KGB.

Venne allora fuori che Flynn aveva partecipato di persona almeno alle ultime fasi della lotta armata contro il dittatore Fulgencio Batista.

Fidel Castro arrivò sul posto, a giochi ampiamente fatti, solo il successivo 8 gennaio.

La clamorosa vittoria della Rivoluzione Cubana fu favorita in modo decisivo dall’irrefrenabile sbandamento delle truppe e, soprattutto, degli ufficiali che avrebbero dovuto essere fedeli a Batista e che, di contro, si vendettero allegramente le armi ed arrivarono addirittura a cedere, dietro pagamento, ai guerriglieri un treno blindato prima di arrendersi.

L’Avana – ricordano gli storici – non insorse contro l’ex sergente, mulatto e con qualche goccia di sangue cinese, che dal 1952 (dopo essere già stato presidente nel periodo 1940-44) la governava ma, di buon grado, applaudì i vincitori che la occupavano.

Aveva, così, inizio il dominio castrista.

 

18 settembre 2013

 

Quando (e quanto) rimpiangeremo Fidel

 

Prima dell’1 gennaio 1959, quando il regime cubano non dispiaceva agli Stati Uniti e al mondo: Fulgencio Batista al potere, regime dittatoriale, casinò, casini, prostitute e prostituti, mendicanti, sfaccendati che sopravvivono grazie a imbrogli e sotterfugi, scuole inesistenti e comunque vuote, malessere. mafia, malaffare e chi più ne ha più ne metta.
Dall’1 gennaio 1959, quando il nuovo ordine cubano dava fastidio agli Stati Uniti e al mondo: Fidel Castro al potere, regime sostanzialmente dittatoriale, nessun mendicante, nessuno sfaccendato, nessun imbroglio consentito, nessun casino, nessun casinò, niente delinquenza organizzata, un sistema sanitario ben funzionante, scuole obbligatorie e per tutti…

E dopo il riavvicinamento con gli Stati Uniti voluto da Obama per cercare di passare alla storia, poveretto?

Scommetterei la casa che entro pochissimo tempo l’isola tornerà ad essere quella dei tempi di Batista, cosa che il pugno di ferro dell’autocrate caudillo Fidel ha impedito.

Lo rimpiangeremo, e molto!!!

 

25 marzo 2016

 

Un giorno triste per Cuba

 

Ignoranti, inetti, prodotti dalla poltiglia ideologica che domina il mondo, tutti esaltano il momento, celebrano l’apertura della ambasciata USA a L’Avana.

In verità, un giorno triste per Cuba.

Quasi certamente, entro pochi anni, l’isola tornerà ad essere il postribolo degli Stati Uniti e il ricettacolo della criminalità.

Fidel, autocrate di destra che ha preso il potere conscio della miseria e incapacità del popolo è purtroppo fuori gioco e Raul, vecchio comunista quale è, si dimostra incapace a ricoprire il ruolo.

Ci sono uomini che non devono abdicare, non devono declinare, non devono morire!

 

24 agosto 2015

Mauro della Porta Raffo