Elogio e nostalgia del Gran Pignolo

in occasione del ventennale della pubblicazione sul Foglio delle prime Pignolerie

(5 settembre 1996)

 

1 settembre 2016

Quando apparve sul Foglio, con quella qualifica un po’ demodée, ‘Il Gran Pignolo’, Mauro della Porta Raffo fu una brezza fresca sull’aria fetida di complicità del giornalismo italiano, sempre a spada tratta nello scontro ideologico, ma alla fin fine accomodante e manutengolo nelle questioni di bottega, di tengo famiglia.

Lui non risparmiava nessuno, nemmeno i mostri sacri, svelandone ignavia e faciloneria, dando dignità di stampa a molte mormorazioni; facendosi, così agendo, nemici che aspiravano solo ad esssergli amici, perché non nuocesse.

Perché poi, pur cavalcando un successo tanto più raro quanto più individuale, Mauro abbia smesso di bacchettare soloni e palloni gonfiati, rimane un mistero: forse perché si è imbattuto  in manutengolerie, forse perché era irrimediabilmente fuori dalle tante cricche che si fanno e si disfano all’insegna di giornalismo autoinvestitosi di missione morale mentre fa l’immorale.

Fatto è che si sente da tempo la mancanza di uno come Mauro.

A leggere le bacchettate che impartiva sul Foglio a destra e a manca, correggendo sviste, strafalcioni, errori fattuali di tanti signorini grandi firme, Mauro della Porta Raffo suscitava  l’impressione di essere un provinciale saputello, primetto della classe sempre in agguato con la matita rossa e blu.

Provinciale, millanta con civetteria di esserlo: romano di nascita, si crogiola nella sua Varese, vantando da finto perdigiorno ore di chiacchiere dal barbiere e al biliardo cui lo iniziò Piero Chiara, serate a tavoli da gioco; e tiene troppo alla sua pigrizia per darsi a imboscate da saputello.

Ma insofferente alla sciatteria, non resiste alla pulsione a mettere i puntini sulle i per amore di precisione e delle cose ben fatte, non per il gusto di cogliere in fallo.

Il ‘Gran Pignolo’, con ironia e amabile perfidia ha sempre colpito cristianamente l’errore, non l’errante: tanto che molte sue vittime sono poi diventati suoi amici, come Luca Goldoni, Antonio Di Bella, Paolo Granzotto, Mauro Mazza, Claudio Sabelli Fioretti, Carlo Verdelli, Giulano Zincone, e tanti altri.

Il Gran Pignolo è intervenuto su ogni branca del giornalismo.

Nei suoi scritti c’è tutto, o quasi, il giornalismo, dalla A alla Z, in più campi: dal cinema allo sport, anche quelli minori, (varranno pur qualcosa le ore passate dal barbiere), agli Stati Uniti, specie i loro meccanismi elettorali e le presidenze, su cui Mauro,  senza mai esservi stato, sa tutto, avendolo condensato in poderosi volumi.

Il più  bacchettato da Mauro, per decine di volte e per decine di pagine, è stato Enzo Biagi quando era al massimo della popolarità, con le sue ripetute ovvietà condite di strafalcioni.

In buona compagnia con lui, da mandarli entrambi dietro la lavagna, Giorgio Bocca; e poi , Ennio Caretto, Oriana Fallaci, Curzio Maltese, Francesco Merlo, Gianni Riotta,  Eugenio Scalfari, Walter Veltroni,  Vittorio Zucconi.

“Pizzicati” anche monumenti come Indro Montanelli, Giovanni Sartori, e, proprio sulla germanistica, Claudio Magris, che ne è il principe.

A loro e tanti altri è andata bene che il Gran Pignolo abbia chiuso bottega.

Chi da lui fu colpito, potrebbe esibire la ferita come una medaglia,  se avesse spirito.

Non è che chi manchi tra le vittime non abbia mai fatto sviste o errori. Tanti ne avrebbero fatti apposta pur di avere l’attenzione del Gran Pignolo e della sua seguitissima rubrica.

E’ che lui, dietro l’apparente pigrizia è perfidamente selettivo.

E forse è solo per questo che il sottoscritto non compare tra i colpiti.

Fernando Mezzetti