Piero Chiara: a proposito di Morselli

Con qualche rimpianto, devo ammettere che, pur varesino di adozione come lui, mai mi è riuscito, negli anni della giovinezza, di conoscere davvero Guido Morselli che per me restava quello strano tipo, solitario e chiuso, spesso seduto ad uno dei tavolini del Caffè Zamberletti in corso Matteotti, apparentemente del tutto estraneo alla città, ai suoi accadimenti, ai suoi drammi e alle sue felicità.

Di lui, qualcosa mi disse – come di tanti altri, del resto – Piero Chiara, che ben lo conosceva e che, per carattere, essendo di differente pasta, non lo poteva proprio sopportare.

Oggi, a bocce ferme ormai da tanto tempo e dopo aver cercato invano di leggere Morselli la cui scrittura, ahimé, non m’appartiene, la sua figura è richiamata di quando in quando alla mia memoria da ricordi personali, libri ed articoli a lui dedicati.

E, come spesso accade allorché di una persona si scoprono aspetti sconosciuti, l’uomo Morselli m’appare diverso e decisamente più vicino.

Chissà, mi chiedo a volte, se di fronte a queste rimembranze Piero Chiara – fosse pure solamente per nostalgia nel ritornare ad un tempo che non c’è più e che gli era proprio – avrebbe rivisto il duro ritratto che dell’autore di ‘Dissipatio H.G.’ scrisse nel 1977, sul Corriere del Ticino, nella mitica rubrica ‘Sali e Tabacchi’?

“Guido Morselli… era un uomo difficile, carico d’orgoglio, convinto di una superiorità intellettuale destinata a restare intangibile da parte degli organi editoriali e sdegnosa di ogni successo. Nulla gli sarebbe spiaciuto più del mondan rumore, della popolarità. Anche se sotto sotto la desiderava, come uno che muore dalla voglia di pastasciutta o di barbera e non tocca che caviale e champagne… Mai che mi parlasse di un manoscritto qualsiasi o di un romanzo. Tutt’al più parlava delle sue altissime letture. Non si sarebbe mai umiliato al punto di domandarmi un parere e tantomeno un appoggio… Mi meraviglio nel sentire che aveva mandato dei manoscritti agli editori: era uomo da aspettare che glieli chiedessero in ginocchio.

Occorrerebbe solo domandarsi perché certi autori diventano buoni dopo morti… ma nel caso di Morselli, è proprio vero che fu sacrificato un grande scrittore? Ora, con davanti il suo discreto successo post mortem, si può parlare di uno scrittore ‘diverso’, mitteleuropeo, ecc. Ma a guardar bene, quel suo manierismo superdosato di cultura potrebbe benissimo venir rifiutato anche oggi…

Morselli non si uccise dopo aver visto sul tavolo un plico con l’ennesimo manoscritto restituito da una casa editrice… Tornando da un viaggio in preda a una forte malinconia o al taedium vitae che lo affliggeva, compì il suo gesto. Se avesse avuto qualcuno a tenergli compagnia, probabilmente avrebbe superato come chissà quante altre volte la crisi di sconforto che l’aveva preso.

Depresso per la solitudine di quella sera, per il disamore in cui si sentì caduto, per la sua incapacità a legare col mondo e a viverci anche senza gloria e senza altra buona fortuna oltre la sicurezza del benessere che in verità non gli mancò mai, si licenziò dal mondo con un atto di volontà più eloquente di ogni libro, lasciandoci il rimorso di non averlo compreso”.

Dure parole, come detto, quelle di Chiara, appena temperate dal finale rimorso per non aver compreso forse di più l’uomo Morselli (lì, ad un sol passo da noi ogni giorno) che lo scrittore.

Mauro della Porta Raffo