Le lezioni (svizzere) di Luigi Einaudi

Dagli ultimi decenni dell’Ottocento ai primi anni della Repubblica italiana.

Luigi Einaudi (1874-1961) è stata una delle personalità che maggiormente hanno segnato la vita politica italiana anche se molto spesso i suoi richiami e le sue analisi sono cadute nel vuoto tanto da aver scelto di dare come titolo ai suoi ultimi articoli “Prediche inutili”.

Professore, giornalista, politico, governatore della Banca d’Italia e primo presidente eletto della Repubblica, Einaudi è stato un grande rappresentante di un liberalismo costruttivo, profondamente ancorato alla realtà sociale.

La vita e il pensiero politico-economico di Einaudi meriterebbero (e hanno meritato) interi volumi.

Importanti le sue opere sul diritto tributario, le sue analisi di teoria monetaria così come il suo impegno politico a cui si deve, insieme e De Gasperi, il miracolo economico del secondo Dopoguerra.

Poco più di un anno della sua vita lo visse anche da esiliato in Svizzera da cui tornò il mattino del 10 dicembre 1944, con gran parte dell’Italia del Nord ancora occupata dai tedeschi, a bordo di un aereo americano da Lione a Roma.

Einaudi era stato richiamato in Italia per assumere la carica di Governatore della Banca centrale e per guidare la ricostruzione del Paese dopo le distruzioni della guerra.

Einaudi era fuggito avventurosamente alla fine di settembre del 1943. Arrivato a Torino dove era stato da poco nominato rettore dell’Università, e dove doveva tenere la tradizionale lezione di scienza delle finanze, venne infatti avvisato che correva il concreto rischio di essere arrestato e decise quindi insieme alla moglie Ida e con l’aiuto di alcuni amici, di tentare di raggiungere subito la Svizzera.

I valichi e le principali strade erano rigidamente controllate: la strada scelta fu un duro percorso a piedi e a dorso di mulo passando per la borgata di By e poi attraverso la Fenetre Durant, un colle a duemilaottocento metri di altezza al culmine nella valle di Ollomont di fianco al Gran San Bernardo.

Pesante la salita e ancora più pesante, per un uomo di quasi settant’anni che camminava con il bastone, la discesa fino a Martigny.

Dopo i primi giorni di inevitabili traversie per essere accolto e per trovare una sistemazione adeguata Einaudi poté contare sull’aiuto non solo di moltissimi amici italiani che l’avevano preceduto in terra d’esilio, ma anche sulla solidarietà aperta e costruttiva delle autorità e degli ambienti accademici e culturali elvetici.

In un messaggio alla Svizzera inviato nel 1953 Luigi Einaudi scriverà: “L’ospitalità che gli Svizzeri diedero ai profughi italiani fu larga, cordiale, silenziosa.

Dagli uomini politici e dai funzionari federali e cantonali ai colleghi universitari, dai capitani dell’industria e della banca ai lavoratori del braccio e della mente, tutti vennero in aiuto a coloro che avevano bisogno di essere aiutati, senza che della liberalità si facesse ostentazione e si richiedessero pubblici riconoscimenti e ringraziamenti”.

Tra i rifugiati italiani in Svizzera, soprattutto dopo l’8 settembre del ’43, vi erano molti militari, quasi tutti giovani.

Fu per questo che il ticinese Plinio Bolla, allora presidente del Tribunale federale e del Comitato d’aiuto degli universitari, organizzò una serie di “campi” a Ginevra, Losanna, Friburgo e Neuchatel, a cui parteciparono in un anno oltre cinquecento allievi e che videro la partecipazione anche di molti docenti italiani, tra cui uno dei più autorevoli fu proprio Luigi Einaudi.

In quelle lezioni il futuro presidente della Repubblica italiana fu quasi costretto a spiegare l’economia e la società fin dall’inizio, soprattutto partendo dalle basi pratiche e teoriche del liberalismo e allo stesso modo realizzò un manuale di base di educazione civica realizzato su invito del “Comitato italiano di cultura sociale” che gestiva le lezioni nei campi svizzeri dove erano raccolti oltre ventimila rifugiati italiani.

Queste pagine “volutamente semplici e in parte popolari”, come scrisse Einaudi nella prefazione della prima edizione, costituirono la base di quelle “Lezioni di politica sociale” che rappresentano a tutt’oggi una sintesi chiara ed efficace, un’opera in cui risalta la consapevolezza che le vicende storiche del ventennio tra le due guerre avevano al fondo la lacerazione del tessuto sociale una delle cause più importanti.

In queste Lezioni Einaudi mette a fuoco i particolari di una solidarietà liberale che non solo non è incompatibile con le leggi dell’economia di mercato, ma che è funzionale proprio allo sviluppo di un autentico regime liberale.

In una società più equa anche il mercato funziona meglio e può offrire strumenti per rendere più costruttiva l’iniziativa economica e la partecipazione dei cittadini.

La solidarietà, secondo Einaudi, è un fattore profondamente coerente con il liberismo: non solo perché esalta la libertà dei singoli, ma anche perché aiuta ad allargare il mercato, a renderlo più aperto e partecipato e quindi efficiente.

I liberali, dunque, sono anch’essi a favore un certo grado di intervento dello Stato, tanto che per identificarli «bisognerebbe inventare un altro nome» rispetto a quello di liberisti, «tanto il loro atteggiamento mentale è lontano dal laisser faire, laisser passer».

Le “Lezioni di politica sociale” costituiscono ancora oggi un punto fermo per le idee liberali.

Soprattutto un punto di sano equilibrio tra le tentazioni da una parte di una crescita delle presenza dello Stato e dall’altra di una fiducia assoluta in un mercato che invece ha bisogno di buone regole e di corretti regolatori.

Gianfranco Fabi