Mao Zedong in privato

Un nume a capo di un miliardo di esseri umani, potentissimo e inaccessibile a tutti.

Perennemente chiuso nella sua grande stanza da letto che gli fa anche da studio e sala da pranzo, comunicante con una piscina nella quale raramente si tuffa.

Sempre in stazzonato pigiama o in logora vestaglia, circondato di giovani donne che gli fanno da amanti, inservienti, infermiere.

Sofferente di insonnia, ossessionato dall’incubo di impotenza, trascorre in giochi erotici, su un letto costruito apposta per lui con bordi rialzati per favorire certe posizioni sessuali, notti e giornate con ragazze che si danno il cambio in turni organizzati dalla favorita: una donna autoritaria e dispotica non solo verso le temporanee ospiti in ognuna delle quali teme una concorrente, ma anche con lui e i più alti dirigenti dell’immenso paese, che per comunicare debbono passare attraverso di lei.

Non è il ritratto di un corrotto e inetto antico imperatore cinese e della sua corte, con intrighi di concubine, favorite arroganti e lotta tra loro e dignitari.

E’ uno squarcio dall’interno su Mao Zedong in privato, che da leader della rivoluzione proletaria si insediò a Pechino nel 1949 nella Città Proibita come imperatore rosso, iniziatore di una nuova dinastia.

La porta sul proibito mondo della Città Proibita di Mao si spalanca grazie a un libro uscito nel 1994 prima negli Stati Uniti e poi in mezzo mondo, meno che in Italia, dove vari editori, inclusi i maggiori, ne hanno rifiutato la pubblicazione: ‘La vita privata del presidente Mao’, di Zhisui Li, pubblicato da Random House a cura di Anne F. Thurston.

L’autore Zhisui Li, che nel 1988 ha avuto il permesso di andare negli Stati Uniti e vi è rimasto, morendo alcuni anni fa, è stato per oltre vent’anni medico personale di Mao.

Questi era il suo unico paziente.

Per vent’anni è dovuto vivere ventiquattro ore su ventiquattro accanto a lui, in una stanzetta della sua residenza, seguendolo ovunque.

Il libro ha suscitato controversie sulla questione etica di un medico che rivela tanti segreti del suo paziente.

In molti hanno obiettato che il paziente era troppo importante, e appartenendo alla storia, non ha più diritto alla riservatezza.

E ciò che il medico racconta non è pettegolezzo: dandoci il Mao privato in critiche fasi politiche, aiuta a comprendere passaggi cruciali della Cina Popolare.

Il Mao privato che il dottore consegna alla storia è complesso, ricco di elementi che confermano le tesi degli studiosi più seri, cioè che le tragedie della Cina sono derivate dalle incessanti lotte del Timoniere contro chiunque tra i suoi compagni osasse contrastarlo.

Il culmine lo raggiunse quando nel 1966 lanciò la ‘rivoluzione culturale’ contro il partito che lo aveva di fatto esautorato dopo i disastri da lui stesso causati quando con il ‘grande balzo in avanti’ provocò trenta milioni di morti di fame tra il 1958 e il 1960.

Per lo storico, si hanno sul personaggio dati psicologici e intimi di grande rilevanza: in lui, incubo di impotenza sessuale, che ne stimolava l’appetito per giochi erotici plurimi nei momenti di più alta tensione politica; ammirazione per l’America; senilità in balia di amanti giovani, primitive, ricattatrici; grande capacità di menzogna nel fingersi, con visitatori stranieri, rassegnato a una fine imminente, solo per vedere come reagivano il mondo e i dirigenti di cui si circondava senza fidarsene.

La figura umana di Mao Zedong si rivela sdoppiata tra ascetismo pubblico e dissolutezza privata, tra futuribili visioni rivoluzionarie e intimo primitivismo, con aspetti grotteschi, se non ripugnanti.

Non potrebbe essere più grande il contrasto tra quest’uomo nato il 26 dicembre 1893, un giorno dopo Dio, e la sua figura politica, l’immagine che per decenni, con la sua opera e il suo celebrato ‘Pensiero’, egli ha consegnato alla storia.

La sua morte, il 9 settembre 1976, avviene tra due eventi straordinari.

E’ preceduta il 28 luglio 1976 da uno spaventoso terremoto che distrugge la città di Tangshan, a nord-est di Pechino, facendo oltre trecentomila morti; ed è seguita, il 23 ottobre 1976, da un’eclissi di sole su larga parte della Cina.

La terra impazzita e il cielo oscurato.

Nell’impero dei segni, due segni che nel profondo della mentalità collettiva annunciano la fine di una dinastia.

Così fu.

Mao Zedong muore da vero imperatore, ma da primo e ultimo della sua dinastia.

Un mese dopo, sono arrestati sua moglie e i tre maggiori esponenti della rivoluzione culturale che aveva lanciato nel 1966, uno dei fenomeni più devastanti del secolo, con un centinaio di milioni di vittime.

Torna al potere Deng Xiaoping, che lui poco prima di morire aveva per la seconda volta liquidato, e che a sua volta ne liquida l’intera eredità, estromette dal potere l’erede da lui nominato, avvia la politica di riforme e apertura grazie alla quale la Cina è oggi grande potenza economica, senza più nulla a che vedere con quella di Mao.

Politicamente il sistema rimane autoritario, ma è diventato economicamente pluralista, col settore non statale che conta per circa il settanta per cento del Prodotto Interno Lordo.

Al vertice del partito e dello stato non ci sono più imperatori a vita, ma si succedono abili politici con normali ricambi generazionali, mentre la figura di Mao è stata condannata in termini politici con un documento pubblico del partito nel giugno 1981.

In esso, il Timoniere è omaggiato per la vittoria nel ’49, ma è condannato per tutto ciò che ha fatto da allora: la lotta agli intellettuali nel ’57, il fallimentare ‘Grande balzo in avanti’ del ’58 e soprattutto la rivoluzione culturale, con la quale “provocò un immane disastro al popolo, alla nazione, al partito”.

Mao è svelato in tutte le sue debolezze dal medico.

L’esistenza quotidiana del Grande Timoniere è quella di un uomo che, totalmente isolato dal Paese di cui è dominatore assoluto, trascorre il tempo a letto, alla deriva tra sonno e insonnia.

Legge e rilegge i classici della letteratura e della storia, in edizioni stampate solo per lui, a grandi caratteri per la sua debole vista, su carta leggerissima e copertina floscia in modo che possa piegarle tenendole in mano coricato su un fianco, tuffandosi in un passato che è il suo presente: la stessa vita di imperatori attorniati da concubine e servi infidi; senza eunuchi, ora, ma con alte mura fisiche e mentali a tener fuori il mondo.

Si trova a suo agio solo con donne giovani e ignoranti, raramente riceve i membri del Politburo, supremo organo del potere, e nessuno di loro è ammesso nel suo santuario, la stanza da letto in cui vive, separato dalla moglie.

Il dottor Zhisui fu scelto per il Timoniere perché era uno dei pochi medici di formazione occidentale rimasti nella Cina popolare.

“Malgrado io affermi che dobbiamo promuovere la medicina tradizionale cinese”, gli disse sarcastico Mao in uno dei primi incontri, “personalmente non credo in essa. Le sembrerà strano, ma io non prendo alcun medicamento cinese tradizionale”.

A corte, domina un clima di veleni, di lotte brigantesche.

Mao più che protetto si sente controllato, e a sua volta vuol sapere tutto di tutti.

Col medico, ha lunghe chiacchierate notturne che dietro l’apparente, affabile casualità, sono dirette a farsi dire ciò che i servizi gli chiedono; scoprire quel che gli altri volevano sapere su di lui, e capire quanto potersi fidare del medico.

Un’atmosfera di perenne angoscia per il dottore, sempre sul filo del rasoio, anche perché a loro volta i servizi volevano avere notizie da lui sullo stato fisico di Mao e su quel che Mao era curioso di sapere.

Ogni parola, in quel clima, poteva essere pericolosa.

Anche Mao era oppresso da angoscia e ansia, come milioni di cinesi, sofferenti di nevrastenia, di cui il dottore dice: “Specifica malattia comunista, risultato di intrappolamento in un sistema senza uscita”.

Ma in Mao la malattia affondava le radici nel sospetto che gli altri non gli fossero fedeli, a lui “che era la Cina”.

Di qui insonnia, odi, paure, diffidenze, stitichezza.

Un suo peto era motivo di gioia per tutto il Palazzo; se si metteva sul pitale – gli avevano installato gabinetti occidentali ma li ha sempre ignorati – partivano esultanti rapporti.

In lui crisi di impotenza sessuale da depressione nei momenti di difficoltà politica si alternavano nelle fasi di tensione a inesauribile voracità.

Anche di tipo omosessuale.

Esigeva infatti massaggi particolari dalle muscolose guardie del corpo che lo massaggiavano.

Se il massaggiatore era nuovo, finito il massaggio alla schiena, gli si rivolgeva indicando una parte del proprio corpo: “E questo, lo lasci senza un massaggino?”.

Una notte, insonne sul proprio treno speciale, abbrancò in corridoio e trascinò nella cabina letto un giovinotto dei servizi speciali, che ne uscì piangendo.

Negli anni di vigore si alzava dal letto per una nuotata e per mettersi a leggere, a un tavolino rotondo e basso, dal ripiano di marmo che gli faceva da leggio e tavolo da pranzo, voluminosi rapporti confidenziali.

Già allora non aveva più contatto col paese reale, lo conosceva solo tramite documenti.

A sera arrivavano i plotoni di ragazze della troupe di intrattenimento della guarnigione centrale – addetta alla sicurezza dei dirigenti – o dell’aeronautica o dell’esercito, di questa o quella divisione corazzata, dei reparti speciali.

Tutte ragazze selezionate dai servizi segreti per bellezza, ignoranza e rigore politico e di classe.

A Shanghai, ignari, gli fecero trovare la prima volta sofisticate attrici e intellettuali.

Furibondo abbandonò la serata organizzata nel lussuoso ex Club Francese dell’età coloniale, sempre riservato a lui, tornando al treno speciale dotato del letto speciale e delle ruspanti inservienti di cui lo fornivano per ogni viaggio.

Quelli di Shanghai sapranno poi farsi perdonare, provvedendolo di battaglioni di incolte adolescenti e rozze proletarie.

La sua bramosia sessuale era dettata dall’incubo di diventare impotente.

Era convinto che l’attività sessuale fosse confinata tra i dodici e i sessant’anni di età e collegava la salute alla virilità.

Come il primo imperatore del 200 avanti Cristo, Qin Shihuangdi, che egli molto ammirava perché sterminò gli intellettuali, inseguiva l’elisir di giovinezza.

Secondo il mito, quel sovrano aveva conservato la giovinezza possedendo mille vergini, e i suoi successori lo avevano imitato con migliaia di concubine.

L’imperatore rosso seguiva la tradizione aumentando il numero delle possedute, di età sempre minore mentre la sua saliva.

Benché contrario alla medicina cinese, cedeva a suggestioni per conservare la virilità assumendo estratti di corna di cervo tritate, considerati potente afrodisiaco.

Il dottore riuscì a convincerlo a rinunciarvi, ma in compenso dovette dargli iniezioni di vitamine H3, che non servivano a nulla ma non erano dannose; finché Mao stesso rinunciò, essendosi convertito, passati i sessant’anni, alla dottrina taoista.

Secondo questa teoria, il ‘yin’ delle secrezioni vaginali compensa il declino dello ‘yang’, essenza virile, fonte di salute e longevità.

Poiché è essenziale accumulare ‘yang’, per non dissiparlo, il Timoniere eiaculava raramente, ricavando forza dal ‘yin’ delle secrezioni della partner.

Quindi al fine di restar forte per il bene del Paese e della rivoluzione, sempre più coiti, con più ragazze nello stesso letto, meglio se sorelle tra loro, e anche madre e figlie, se la prima ancor giovane.

Quella che diverrà la favorita, Zhang Yufeng, era stata una delle inservienti del suo treno.

Si era conquistata la sua fiducia quando scoprì per caso, che i servizi segreti avevano messo microfoni e registratori sotto il suo letto nel treno e lo avvertì.

A nulla valsero le giustificazioni su cui si arrampicarono i servizi: “E’ perché nessuna parola del Presidente vada perduta, tutte siano registrate e consegnate alla storia”.

Assatanato, ma non scemo: conosceva bene il covo di briganti che lui stesso aveva costituito.

La sospettosità e il clima da nido di vipere alimentava in Mao nevrastenia e paranoia.

Dal medico voleva soffiate sulla salute degli altri esponenti politici curati da altri.

A lungo proibì che il premier Zhou Enlai, minato dal cancro, fosse operato.

Dette l’assenso solo quando non c’era più nulla da fare.

Vivendo auto-segregato tra piscina e stanza da letto, Mao non si vestiva neanche, restando in camicione da notte o in mutande.

Pur diventato ‘Figlio del cielo’, era rimasto il cavernicolo di Yanan, che si toglieva le piattole mentre spiegava la sua concezione del mondo a Edgar Snow.

Il grande esaltatore dell’educazione fisica, (celebratissimo un suo saggio sul tema) e del lavarsi con acqua gelida, da imperatore, salvo le nuotate, non ha mai fatto un bagno o una doccia: le guardie gli strofinavano il corpo con pannicelli caldi.

Mai usato spazzolino e dentifricio.

Per tutta la vita si è sempre solo sciacquato la bocca con tè verde, masticando le foglioline, che gli annerivano i denti in sfacelo.

“La tigre non si lava mai i denti, ma li ha sempre taglienti”, sentenziava.

Il medico verificò una volta che il Grande Timoniere aveva un contagio da trichonomas vaginalis, una forma di micosi, e che non si lavava mai i genitali.

Neanche pannicelli caldi su questi.

Gli suggerì di lavarsi bene, lui e le fanciulle, chiese il permesso di far sterilizzare tutto, letto e asciugamani.

Mao si rifiutò: “Mi lavo nel corpo delle donne”.

Per lo storico che voglia ricorrere alla psicanalisi, il dottore riferisce che Mao aveva solo il testicolo sinistro, e più piccolo del normale; quello destro non era disceso.

Il che, naturalmente, non gli aveva impedito di far figli.

Quando ebbe sessantadue anni, un test seminale eseguito per altre ragioni accertò che aveva perduto la fertilità.

Il filosofo e ideologo, condottiero e pedagogo, non aveva idea dei meccanismi riproduttivi: “Sono diventato eunuco?”, domandò smarrito.

Le rivelazioni di questo libro corroborate da elementi concreti erano state precedute da testimonianze attendibili, di fonte cinese, raccolte da Harrison Salisbury sugli appetiti sessuali di Mao in una biografia parallela di lui e di Deng Xiaoping.

Si aggiungevano a voci già sussurrate all’inizio degli anni Ottanta a Pechino, dove allora vivevo.

Restava però il mistero.

Non tanto sul letto del Timoniere, benché stuzzicante per il cicaleccio collettivo, e relativamente al quale il medico aggiunge molto; quanto sulla sua personalità d’insieme, sul Mao privato in relazione al Mao politico.

Un gigante del Novecento restava umanamente un enigma.

Il dottor Zhisui fornisce agli storici un Mao totale, con la messa a nudo di una personalità primitiva, pre-moderna, che tenendo presenti i suoi precetti, sermoni, direttive, lavori ideologici, lo Stato e la società casta e spartana che aveva modellato, si rivela come uno dei maggiori inganni della storia.

Il grande inganno del Novecento.

Sotto il carisma, niente.

Fernando Mezzetti