A tavola con Piero Chiara

«Di ogni cosa ho sempre cercato il meglio»

In un anno caratterizzato da un’importante Esposizione internazionale che ha avuto come tema l’alimentazione è parso doveroso far riferimento a Piero Chiara raffinato intenditore dell’ arte di “mangiar bene”.

L’aver praticato le cucine come inserviente – ricordiamo le sue esperienze giovanili in Francia e nei campi di internamento svizzeri -, l’aver frequentato per esigenze di lavoro osterie e ristoranti, l’aver coltivato amicizie con illustri chefs della ristorazione europea ha aiutato Chiara a «formare il palato, arrivando molto presto a rendermi conto che essendo necessario mangiare due volte al giorno, era meglio mangiar bene che male.

Da allora ho sempre cercato di selezionare i cibi e di farli cucinare nel modo migliore.

Non per gola, ma perché di ogni cosa ho sempre cercato il meglio.[…]

Una giusta nutrizione è condizione di buona salute e quindi serve all’efficienza del corpo e della mente».

La sua curiosità e il suo innato bisogno di approfondire ogni genere di conoscenza l’hanno spronato a condurre, su testi e documenti storici, minuziose ricerche sugli alimenti, i loro possibili connubi, il loro utilizzo nella cucina regionale e, a volte, anche internazionale per poterne poi parlare con cognizione di causa o in dissertazioni sul tema o nei suoi racconti e romanzi.

Così scriveva del suo piatto preferito, la pastasciutta, sull’almanacco gastronomico L’Apollo Bongustaio per l’anno 1964:

«Il tema della pastasciutta potrebbe occupare non lo spazio di una nota, ma interi trattati, sia dal punto di vista gastronomico che da quello storico e perfino biologico.

Biologico perché l’influenza di un determinato alimento nella formazione dei caratteri anche morali e psichici di un popolo è un fatto reale.

La pastasciutta al sugo di pomodoro, per esempio, nel giro di quasi quattro secoli ha contribuito in modo notevole alla formazione del carattere italiano.

Tanto è vero che il poeta Filippo Tommaso Marinetti pensò di bandirla, ritenendola colpevole di certi atteggiamenti rinunciatari e pacifisti degli italiani.

Infatti gli antichi romani, gli italiani del medioevo e dell’età comunale non conobbero il pomodoro e quindi la pastasciutta al pomodoro, mentre gli uomini del Settecento, del Risorgimento e della recente storia d’Italia ebbero tutti il pomodoro nel sangue.

E ciò perché la pastasciutta al pomodoro è un piatto italiano esattamente dal 1596, anno in cui attecchì la prima pianta di pomodoro nel Napoletano, venuta dalla Spagna dov’era stata importata dal Perù qualche anno prima.

Perla delle solanacee, il pomodoro di ogni varietà, sia il rugoso Presidente Garfield o il comune Marzano, il Comet quanto il Re Umberto o le varietà più recenti, dal 1600 in poi si naturalizza in Italia e diviene uno dei fondamenti dell’alimentazione partecipando decisamente alla modificazione dei caratteri biologici della stirpe.

Da questa semplice constatazione storica uscirebbe anche un argomento in favore del barocco in gastronomia, perché la pastasciutta al pomodoro è un piatto barocco di pieno diritto in quanto nasce e si diffonde nel ‘600 e proviene, come tutto ciò che è barocco, dalla Spagna.

Barocco è il piatto in sé per la sua forma incerta e mutevole, quasi mobile; barocco il maccherone, lo spaghetto, il fusillo, la chiocciolina, la lasagna, il rigatone, i maltagliati, i vermicelli ed altri tipi di pasta; barocco il pomodoro per la sua asimmetria che fa ricordare la perla irregolare o scaramazza, detta in lingua spagnola e portoghese barrueco, da cui forse ebbe origine la parola barocco».

Francesca Boldrini

E anche di altre sue predilezioni culinarie si parlerà nell’oramai tradizionale incontro di fine anno a Luino, il 31 dicembre prossimo. L’incontro dei “Chiarissimi Pierini” è fissato per le ore 11.00 davanti al cimitero locale.

A seguire, per chi lo desidera, un momento conviviale presso il ristorante Tre Re da prenotarsi allo 0332 531147 oppure Cattaneo 335 7383117.