‘Vincitori e vinti’, il film della vita di Fernando Mezzetti

Non è facile dire quale possa essere ‘Il film della vita’.

Non ci si stanca di rivedere per mera godibilità ‘I soliti ignoti’, e altre opere di amaro divertimento ma più illuminanti di mille saggi storici, come ‘La grande guerra’ e ‘Tutti a casa’; e altre ancora, come ‘Quando la moglie è in vacanza’, o ‘A qualcuno piace caldo’ che vivono nella memoria per la deliziosa finta ocaggine di Marilyn e che non pretendono di darti messaggi per i quali in genere verrebbe voglia veramente di sparare al messaggero.

Ma capisco che ‘il film della vita’, nelle intenzioni di chi ti chiede di parlarne, è quello che ti ha segnato, in qualche modo ha lasciato un segno che ti porti dietro.

E allora non ho dubbi.

E’ ‘Vincitori e vinti’, di Stanley Kramer: un’opera di profondo senso storico, di alta tensione drammatica e morale, e soprattutto un grande, avvincente spettacolo.

Un filmone, e non perché dura tre ore.

Il cast, intanto.

Un insieme di giganti come raramente avviene in un solo film: Marlene Dietrich, Spencer Tracy, Burt Lancaster, Judy Garland, Montgomery Clift, Richard Widmark, Maximilian Schell, per citare solo i maggiori.

Il luogo dell’azione: essenzialmente uno solo, l’aula del Tribunale di uno dei processi di Norimberga, seguiti a quello principale ai gerarchi nazisti; in questo caso contro l’ex giudice e ministro della Giustizia del Terzo Reich, Ernst Janning, uomo integro, ma parte del regime.

I dialoghi: incalzanti e di profondo contenuto, una summa del perenne dibattito storico sui motivi dell’ascesa del nazismo e sulle sue efferatezze, sulle colpe collettive, o presunte tali, tedesche e internazionali, sull’etica della responsabilità, morale o giuridica.

Non c’è nulla di più ‘scenico’ di un’aula di tribunale, il processo come dramma in divenire: è un classico da quando è nato il teatro.

Ma al cinema può essere noioso, e ci vuole straordinaria maestria perché lo spettatore resti incollato alla poltrona a seguire senza un attimo di respiro il dibattito storico-politico, prima che giuridico, su cui in aula si dipana il processo.

E Kramer riesce in questo, anche grazie all’eccezionale cast.

Il film è tutto su requisitoria e difesa.

Le scene sono i primi piani delle facce, quella grave e solcata di rughe di Spencer Tracy, il giudice scaraventato dalla tranquilla provincia americana nella tragedia europea; quella impenetrabile dell’imputato Burt Lancaster chiuso nel suo dramma intellettuale e umano; dello sperduto testimone Montgomery Clift, vittima senza sapere il perché; quella bellissima di Marlene Dietrich, col fascino dolente di rappresentazione dell’alta società tedesca compromessa col nazismo.

Un grande spettacolo e una grande lezione di storia.

Ecco.

Se dovessi essere costretto a ritirarmi su un’isola deserta con possibilità, a parte i libri, di vedermi qualche film, questo è quello che vorrei, ma insieme con qualche altro che ancora non c’è: sulle atrocità del comunismo, non solo fisiche con milioni di morti, ma sulla violenza sull’uomo, di cui voleva rifare lo spirito buttandone via il corpo.

Abbiamo avuto, di recente, ‘Le vite degli altri’, grande opera.

Ma non basta.

Dovrebbe essere solo l’inizio.

Aspetto, sul comunismo, un capolavoro come ‘Vincitori e vinti’ sul nazismo. Perché l’uno e l’altro siano, su quello scenico, sullo stesso piano come sono su quello storico.

Fernando Mezzetti