Milano – Via Mike Bongiorno

Il 21 ottobre scorso il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, ha presenziato alla cerimonia di inaugurazione di una via centrale intitolata a Mike Bongiorno.

Lecito domandarsi se era il caso, di fronte a tanti personaggi della cultura, della storia, della scienza dimenticati dalla toponomastica o relegati in periferia.

Non entrerò nel merito ma – da semplice cittadino e da telespettatore non più giovane che ha seguito la carriera del presentatore – devo dire che la cosa mi ha fatto piacere perché ha segnato un percorso di vita comune a tanti.

Devo anche aggiungere – sarà forse anche per questo ho apprezzato l’iniziativa meneghina – che con Mike Bongiorno ho collaborato, anche se per lo spazio di un mattino e lui ha collaborato con me per lo spazio di una sera.

“Pronto? Sono Mike Bongiorno, c’è il signor Cosentino?”.

Al telefono rispose mia suocera, che non si scompose, così come quando mi cercò a casa Indro Montanelli, che non sempre amava utilizzare il centralino del “Giornale” per le sue chiamate.

Correva l’anno 1977 e Mike mi aveva cercato per concordare un appuntamento presso gli studi televisivi della Fiera di Milano assieme a Piero Turchetti, regista del suo programma “Scommettiamo?”.

La mia collaborazione riguardava una tematica in campo parapsicologico, curando io un mensile del settore e avendo tra i collaboratori anche Massimo Inardi, uno dei maggiori esperti in materia, che aveva partecipato con successo al quiz “Rischiatutto”.

Mike in privato era molto diverso da quello che appariva in tv: rilassato, sorridente, amichevole.

Tant’è che accettò un collegamento in diretta con me all’interno di un programma radiofonico che conducevo presso una emittente privata milanese: il tutto senza chiedere una lira.

Entrando nel merito della intitolazione della via, ritengo però che – a parte la carriera televisiva e al netto della sua avventurosa vita privata (ebbe tre mogli) – occorrerebbe considerare la sua partecipazione al conflitto bellico.

Michael Nicholas Salvatore Bongiorno, (New York, 26 maggio 1924/Monaco, 8 settembre 2009) – narra la sua storia – è stato infatti partigiano statunitense naturalizzato italiano.

Durante la seconda guerra mondiale, dopo l’invasione tedesca dell’Italia, fece da raccordo fra i partigiani e gli Alleati di stanza in Svizzera.

Nell’aprile del 1944 fu catturato dalla Gestapo e condannato a morte.

Essendo però in possesso di documenti americani, fu tradotto nel carcere di San Vittore a Milano, dove si ritrovò accanto a Indro Montanelli.

Dopo diverse vicissitudini fu liberato grazie ad uno scambio di prigionieri di guerra tra Stati Uniti e Germania.

Una vita vissuta, dunque, come tante nel periodo bellico.

Ma anche un’esperienza di vita che forse lo spinse a spendersi senza risparmiarsi.

E a brillare nel firmamento televisivo, segnandone la storia e al netto dell’impegno culturale.

Si consolò comunque nell’autunno 2007 quando fu insignito, honoris causa, di una laurea in materia di televisione, cinema e produzione multimediale presso l’Istituto universitario di Lingue moderne (Iulm) di Milano.

E, nonostante impersonasse – secondo i benpensanti – la mediocrità culturale, gli fu attribuito il funerale di Stato, celebrato il 12 settembre del 2009 nel Duomo di Milano, presenti personalità della politica, oltre che dello spettacolo, assieme circa diecimila persone.

Con buona pace, è il caso di dirlo, dei suoi critici.

Antonio Cosentino