La Memoria: 4° parte – Interludio: C) Mnemosine tra noi

Chi fosse intenzionato a “non perdere il filo” della presente trattazione, potrà tranquillamente omettere la lettura di questo capitolo.

Essa però potrà essere utile per comprendere come l’antica concezione di ‘Memoria-Mnemosine’ (in ambedue i sensi considerati ai §§ 2-3) sia ancora viva ed operante tra di noi.

Mi riferisco ad una singolarissima opera, quell’Atlante di Mnemosine, solo in parte pubblicato, i cui materiali sono ancor oggi custoditi presso il Warburg Institute di Londra.

Il Warburg (è un particolarissimo centro di ricerca, ora associato all’Università di Londra e alla sua School of Advanced Study, specializzato nello studio dell’influenza dell’antichità classica su tutti gli aspetti della civiltà europea. Ciò che in particolare lo caratterizza, è il suo peculiare approccio interdisciplinare, sottolineato dal modo con cui è catalogato l’immenso materiale – soprattutto iconografico – di cui è in possesso. Esso infatti – oltre a una vasta collezione fotografica ed all’archivio personale di Aby Warburg, di cui fra breve si dirà – gestisce anche una biblioteca di ricerca di oltre 350.000 volumi i quali, fatta eccezione per un piccolo numero di libri rari e di valore, sono esposti su scaffali accessibili a tutti.

Ma ciò che davvero lo contraddistingue è il suo unico ed insolito sistema di catalogazione: la collezione è organizzata per soggetto secondo la divisione della storia umana nelle categorie dell’Azione, dell’Orientamento, della Parola e della Lingua. Tali criteri volutamente ignorano i dettami della biblioteconomia per favorire l’incontro casuale del lettore, sulla base di “affinità elettive”, con libri vertenti su temi analoghi a quello inizialmente cercato e permettere la costruzione di personali percorsi di ricerca.

 

Tutto questo riflette lo spirito del suo ispiratore, l’amburghese di cuore, ebreo di sangue, d’anima fiorentino Aby Moritz Warburg (1866-1929), il quale fu non solo uno dei più insigni storici e critici d’arte tedeschi del Novecento, ma anche uno dei più devoti adoratori moderni di Mnemosine: sulla quale, alla Biblioteca Hertziana di Roma, nel 1929 egli aveva tenuto una conferenza esponendo il progetto di un Atlante illustrato, il Bilderatlas Mnemosyne appunto, dedicato alle emigrazioni e sopravvivenze delle antiche immagini di divinità nella moderna civiltà europea.

Insoddisfatto dell’approccio puramente “estetico-stilistico” alla Storia dell’arte Warburg, già da quando insegnava all’Università di Amburgo, aveva costruito una sua personale biblioteca e quella che oggi chiameremmo una “galleria virtuale” di opere d’arte fotografate, impostate sulla “regola del buon vicinato”, cioè sull’affinità tematica e concettuale fra i testi. Il Bilderatlas Mnemosyne è lo sviluppo di tale originaria intuizione. Si tratta di un “atlante figurativo” composto da una serie di tavole, costituite da montaggi fotografici che accostano riproduzioni di diverse opere: non soltanto testimonianze del Rinascimento (opere d’arte, pagine di manoscritti, carte da gioco …), ma anche reperti archeologici dell’antichità orientale, greca e romana e, ancora, testimonianze della cultura del XX secolo (ritagli di giornale, etichette pubblicitarie, francobolli).

Nel Bilderatlas, che contiene un migliaio di fotografie sapientemente composte e assemblate, le immagini sono oggetto privilegiato di studio in quanto sono un modo immediato di “dire il mondo”: quello che modernamente viene detto “foto linguaggio”.

L’immagine è infatti il luogo in cui più direttamente precipitano e si condensano l’impressione e la memoria degli eventi. Dotate di un primordiale potere energetico di evocazione, in forza della loro vitalità espressiva le immagini costituiscono i principali veicoli e supporti della tradizione culturale e della memoria sociale, che in determinate circostanze può essere “riattivata e scaricata”. Nell’Atlante la giustapposizione di figure, impaginate in modo da tessere più fili tematici attorno ai nuclei e ai dettagli di maggior rilievo, crea veri e propri “campi di energia” e provoca lo spettatore a un processo interpretativo aperto: “la parola all’immagine” (zum Bild das Wort).

Il warburghiano Atlante della Memoria è dunque una sorta di “macchina”, una gigantesco condensatore in cui si catalizzano tutte le correnti d’energia che hanno animato e ancora animano la memoria dell’Occidente. Suo obiettivo è illustrare i meccanismi di tradizione-traduzione-tradimento di temi e figure dal mondo antico a quello contemporaneo, con particolare riguardo alla ripresa di moti, gesti e posture che esprimono l’intera gamma dell’eccitazione emozionale (quali l’aggressione, la difesa, il sacrificio, il lutto, la malinconia, l’estasi, il trionfo …): “formule espressive dell’emozione” (Pathosformeln), dedotte direttamente in forma artistica dai modelli antichi, o anche riemergenti senza diretto collegamento ai modelli, nella forma di engramma, esito spontaneo dell’istinto gestuale umano.

 

I due significati di Mnemosine – strumento di coordinazione delle attività “biomeccaniche” dell’uomo (§ 2) e rievocazione di un mondo ordinato e perfetto dal quale veniamo ed a cui continuamente ed inconsapevolmente ci richiamiamo (§ 3) – sono qui pienamente sintetizzati, da un lato, dall’assemblaggio di opere d’arte come “associazione libera di idee” e, dall’altro, dal rinvio ad un ordine “latente” che, proprio tramite quel coordinamento, a poco a poco si disvela.

 

Precisato quindi che il concetto della memoria greca è tutt’altro che morto nel nostro mondo, è giunto il tempo di considerare quello che, a poco a poco, è venuto sovrapponendoglisi sino a diventare dominante: quello “ebraico-cristiano”.