Amalia ‘Leni’ Riefenstahl mi apparve all’improvviso mentre saliva le scale di un palazzo della zona del Broletto.
Era il 2002 e lei, la regista cara ad Adolf Hitler, era giunta a Milano per partecipare all’annuale festival del film sportivo.
Aveva da poco compiuto i cento anni ma aveva sdegnosamente rifiutato l’ascensore: voleva andare a piedi, poche storie, perché quello era un modo fiero per onorare i suoi trascorsi da ballerina e da subacquea.
Mi parve “stretta nella storia”, proprio come il titolo della sua autobiografia.
Ma anche “uscita dalla storia”: con le sue ombre (tante, legate al discusso rapporto con il nazismo e con i suoi gerarchi) e con le luci (non meno numerose) di un genio indiscutibile, quando la sua personalità e le sue intuizioni si trasferivano in una macchina da presa:
“Lo sport – mi disse – è un’espressione positiva della vita.
Abbinato ad esso, il cinema rende parecchio: descrive un gesto, presenta l’atleta sotto varie angolature, lo ‘spiega’ al pubblico”.
In tanti anni in giro per il mondo a raccontare di imprese e di personaggi, non mi era mai successo di provare un’emozione tanto forte: l’intervista alla Riefenstahl, probabilmente una delle ultime da lei concesse e di sicuro l’ultima in Italia, è un ricordo che trascende ogni altro aspetto della mia carriera.
Per la verità, c’è un secondo momento paragonabile a questo: accadde quando, nel 2005 a Singapore in occasione dell’assegnazione dei Giochi Olimpici 2012 (quelli toccati a Londra), mi ritrovai nella toilette dell’immenso palazzo dei congressi a fianco di Henry Kissinger.
I due episodi viaggiano su profili ben diversi, fosse solo perché in un caso ci fu di mezzo una lunga chiacchierata con l’interlocutrice, mentre nell’altro si trattò semplicemente di una… minzione condivisa accompagnata giusto da qualche battuta.
Ma anche Kissinger, per uno come me che era ragazzotto a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta e che ha dunque vissuto eventi di portata storica come la guerra nel Vietnam, l’ex segretario di Stato degli Usa era in qualche modo una chiave vivente per aprire le porte del passato.
Ovviamente con Kissinger non fu nemmeno ipotizzabile l’approccio di certi argomenti, anche se avrei avuto un sacco di domande da porgli.
Viceversa, mi diede la sua idea su una manifestazione – i Giochi Olimpici, appunto – che avevano bisogno “di una decisa cura dimagrante per non rischiare di arrivare a un modello troppo costoso e non più sostenibile”.
Parole sante e, fino ad oggi, non del tutto comprese, anche se proprio Londra 2012 dettò un modello (basato ad esempio su un impianti riciclabili, o smontabili e rivendibili) e se adesso il Cio ha finalmente sposato un primo pacchetto di soluzioni per arginare il gigantismo.
Peccato non essere andati oltre alla toilette…
In compenso il ricordo di Leni è smagliante in maniera definitiva.
Le chiesi se era vera l’accusa di aver estetizzato la politica.
Un po’ piccata, mi replicò così:
“No, non è giusto.
Non ho mai avuto questo scopo in testa.
La verità è più semplice: i miei film testimoniano solo il modo in cui io ho visto le cose.
E la politica era solo un aspetto, secondo me sfumato e nemmeno il più importante.
Come ho già detto altre volte, non mi sono mai occupata di questa materia.
La realtà mi intristiva e io badavo solo al mio lavoro”.
Ed è vero che se non fosse esistito Hitler, la sua creatività sarebbe stata differente?
“Senza ombra di dubbio.
Sarei stata diversa, molto diversa.
Hitler mi ha cambiato la vita.
Diciamo che mi ha rovinato.
No, non è stata una fortuna incontrarlo”.
Coraggiosa e tutt’altro che reticente, fedele, in fondo, a se stessa.
Alla fine di un’intervista di sicuro non facile per me, ma tutto sommato nemmeno per lei, mi autografò la copertina della cassetta di ‘Olympia’, il suo capolavoro: quel VHS è esposto a casa, al centro della mia libreria.
Invece al rendez-vous (inatteso) con Kissinger arrivai senza penne e fogli di carta.
Purtroppo, non potevo chiedergli di firmare la tazza dell’urinatoio, per poi portarmela via…
Flavio Vanetti