Alcune mini-glaciazioni del passato e quella prevista nel 2030

Con il termine clima si intende l’insieme dei valori statistici di una serie di parametri meteorologici come temperatura, precipitazioni, venti etc su una scala temporale dell’ordine dei trent’anni.

Il clima della Terra è cambiato notevolmente nei secoli e nei millenni passati, ma, dagli ultimi decenni del secolo scorso, ci si è resi conto che queste variazioni possono essere influenzate in modo notevole da uno scriteriato sfruttamento ed abuso delle risorse del pianeta da parte dell’uomo.

Questi effetti antropogenici, iniziatisi con lo sviluppo dell’agricoltura ed il conseguente impoverimento delle zone boschive e delle foreste per creare terreni coltivabili e pascoli, si sono poi dilatati con l’industrializzazione che ha portato all’emissione di grandi quantità di gas “serra” responsabili del lento riscaldamento attuale della nostra atmosfera.

Si tratta essenzialmente di anidride carbonica dovuta alla combustione di petrolio e carbone, di biomassa (legno, vegetazione etc.), e di metano derivante in larga parte dagli allevamenti intensivi di animali domestici.

Va chiarito che una corretta quantità di questi gas serra insieme all’acqua sotto forma di vapore, cioè l’effetto serra “naturale”, è indispensabile per la vita in quanto costituisce una sorta di schermo termico senza il quale la temperatura media della superficie terrestre sarebbe di -18 °C rispetto ai 14 °C attuali.

I gas serra infatti sono trasparenti ai raggi solari diretti al suolo ma assorbono gran parte del calore riemesso dalla superficie terrestre e dalla bassa atmosfera come radiazione infrarossa verso lo spazio, trattenendo una quantità di energia solare indispensabile per la regolazione termica del nostro pianeta

Cambiamenti climatici possono verificarsi per cause assolutamente indipendenti dalle attività umane, e cioè eruzioni vulcaniche, variazioni dell’attività solare e, più occasionalmente, l’impatto di meteoriti di grandi dimensioni.

Altri fattori che contribuiscono alle variazioni climatiche ma solo su scale temporali di circa centomila anni, sono dovuti all’inclinazione dell’asse terrestre, alla precessione degli equinozi ed alla eccentricità dell’orbita del nostro pianeta.

Grazie alle raffinate tecniche messe a punto negli anni recenti, è possibile, analizzando le bolle d’aria intrappolate nelle “carote” di ghiaccio prelevate anche a grandi profondità nelle calotte polari, risalire alla composizione dell’atmosfera in epoche remote.

Analogamente vengono studiati campioni di sedimenti marini, gli spessori e le sequenze degli anelli arborei in piante secolari (dendrocronologia) e le strutture degli strati geologici.

Questi dati, analizzati simultaneamente ed in modo coerente, ci permettono di arrivare ad una immagine attendibile dell’evoluzione climatica del nostro pianeta.

Il più importante caso di raffreddamento della superficie terrestre negli ultimi duemila anni si ebbe nel periodo 535-536 dC: buona parte dell’emisfero settentrionale del nostro pianeta rimase avvolta da uno spesso velo di nebbia asciutta per quasi dieci anni.

Fu dovuto all’effetto schermante della radiazione solare causato dalle ceneri di una violentissima eruzione vulcanica oppure, con minore probabilità, dalle polveri proiettate verso l’alto dall’impatto di un grosso meteorite con la Terra.

Morirono parecchie decine di migliaia di persone; si ebbe un crollo della produzione agricola dovuta alla minore insolazione ed all’aumento della siccità con conseguenze catastrofiche per le popolazioni, afflitte da carestie e diffuse epidemie.

Di questa terribile calamità ci sono testimonianze importanti nei Gaelic Irish Annals: negli annali di Ulster si parla della scarsità di pane nel 536 dC e negli annali di Inisfallen del medesimo problema negli anni 536-539.

Riferendosi al 536 dC ne parla lo storico bizantino Properzio nella descrizione della guerra contro i vandali

“… durante quest’anno ebbe luogo un fenomeno terrificante. La luce emanata dal Sole non era brillante … sembrava come se ci fosse un’eclisse di sole, poiché i raggi che il sole diffondeva erano opachi”.

Analogamente Cassiodoro, politico, letterato e filosofo romano, scrive

Il Sole sembra avere perduto la sua luminosità, ed appare di un colore bluastro. Ci meravigliamo nel non vedere l’ombra dei nostri corpi, di sentire la forza del calore del Sole trasformata in debolezza …. Abbiamo avuto un’estate senza caldo … la pioggia sembra si rifiuti di cadere”.

Fenomeni analoghi furono rilevati ed annotati in Cina dove si ebbero nevicate in Agosto, in Europa ed in Perù dove la siccità e le altre conseguenze dell’eruzione colpirono la popolazione Maya e arrestarono lo sviluppo storico di questa civiltà per parecchi anni.

Le analisi ricavate dai carotaggi di ghiacci della Groenlandia ed in Antartide hanno evidenziato la presenza di solfati nella sezione riferibile agli anni 533-534.

Ciò indicherebbe l’origine vulcanica della mini-glaciazione come appare confermato oggi da studi recenti che ne attribuiscono la paternità ad una violentissima eruzione del vulcano salvadoregno Ilopango, vicino alla capitale San Salvador.

La quantità di ceneri emesse è stata valutata in ottantaquattro km cubi; le dimensioni di cento kmq della caldera di Ilopango, i resti del cratere del vulcano oggi estinto e divenuto un lago, confermano la vastità del vulcano e la violenza dell’eruzione.

Penuria di raccolti, siccità e carestie conseguenti a questo violento cambiamento climatico possono avere contribuito al diffondersi di una delle più spaventose epidemie della storia dell’umanità, la pandemia di peste bubbonica nota col nome di “peste di Giustiniano”, dal nome dell’imperatore romano di quell’epoca, che, tra il 541 ed il 542, causò la morte di almeno venticinque milioni di persone, dando il colpo di grazia al moribondo impero romano.

La capitale Costantinopoli fu la più colpita: Procopio di Cesarea parla, forse esagerando, di diecimila morti al giorno; si ritiene comunque che il quaranta per cento della sua popolazione sia stato decimato dalla pestilenza.

 

Il 5 Aprile del 1815 ebbe inizio una gigantesca eruzione del vulcano Tambora nell’isola indonesiana di Sumbawa nell’oceano indiano, che durò per oltre quattro mesi iniettando nell’atmosfera un’immensa quantità di cenere che sconvolse per oltre un anno il clima non solo dell’Asia ma anche dell’Europa e del Nord America. Alla fine dell’eruzione il vulcano, alto oltre quattromila metri, era ridotto a circa duemilaottocento metri.

Le cronache dell’epoca raccontano che il suono delle esplosioni fu udito fino a Sumatra a milleottocento km di distanza e che dei ventiseimila abitanti della cittadina di Tambora ai piedi del vulcano, solo ventisei sopravissero, inoltre “Turbini violenti portarono uomini, cavalli, bovini in aria, sradicarono i più grandi alberi dalle radici, e coprirono tutto il mare di legname galleggiante”.

La cenere portata nell’alta atmosfera si aggiungeva a quella proveniente da altre due eruzioni verificatesi nel 1812 nei Caraibi e nel 1814 nelle Filippine, formando una densa nube che riduceva la radiazione solare al suolo provocando un aumento dell’oscurità ed un calo delle temperature che durò quasi due anni.

Questi fenomeni produssero effetti devastanti sul clima che si tradussero in inondazioni, epidemie, carestie e, nel 1816, alla quasi totale assenza dell’estate tanto che quell’anno è ricordato come “l’anno senza estate”.

Nel New England e nel Canada orientale la maggior parte dei raccolti fu distrutta dal ghiaccio e dalle nevicate; all’inizio di giugno una nevicata di circa trenta cm ricoprì il Quebec ed a Luglio ed Agosto ghiacciarono laghi e fiumi in Pennsylvania.

Tempeste ed inondazioni colpirono anche l’Europa, dove ci fu una abbondante esondazione del Reno.

Ha inizio un lungo periodo di carestie.

Le popolazioni migrano alla ricerca di nuove risorse: nel Nord America, provato dalle condizioni estreme della costa Est, gruppi sempre più numerosi di famiglie si spostano nel midwest e verso le terre dell’ovest, inizia la conquista del Far West.

Si diffondono malattie infettive dovute a carenze igieniche ed alla malnutrizione, ed appare per la prima volta in Europa il colera, allora presente solo nel delta del Gange.

Le difficoltà del momento obbligano la gente ad aguzzare l’ingegno. E’ il caso del barone Karl Drais di Karlsruhe, che avendo perso per mancanza di foraggio quasi tutto il suo bestiame da traino e da trasporto, inventa il primo velocipede, antenato della bicicletta, collegando due ruote di un carro agricolo con un telaio in legno sul quale si montava come a cavallo.

Ma l’estate senza sole del 1816 va ricordata particolarmente per un fatto culturale straordinario.

Lord Byron con un gruppo di amici tra cui la sua ex-amante Claire Clairmont incinta della figlia del poeta, la sorellastra di lei, la diciannovenne Mary Wollstonecraft Godwin col fidanzato Percy Bysshe Shelley che sposerà a fine anno, John William Polidori, medico personale di Byron e zio del pittore preraffaellita Dante Gabriele Rossetti, si trovano sul lago Lemano per trascorrere le vacanze estive.

Le condizioni del tempo sono pessime e gli amici sono costretti a passare le giornate chiusi in casa.

Byron, prostrato dalle interminabili condizioni di freddo e di buio, scrive la poesia “Darkness” (oscurità) che inizia con questi versi che riflettono la desolante situazione climatica di quel periodo:

Ebbi un sogno che non era completamente un sogno.

Il sole radioso si era spento, e le stelle vagavano

oscurandosi nello spazio eterno,

prive di raggi e perdute, e la terra coperta di ghiacci

intenebrandosi ruotava cieca nell’aria senza luna;

il mattino venne e svanì, ritornò senza portare il giorno”.

Per riempire le giornate gli amici decidono di sfidarsi nella composizione di un racconto di tipo “gotico-fantastico”.

Nascono così, quasi per esorcizzare l’angoscia delle cupe giornate vissute spesso al lume di candela, due opere che raggiungeranno una fama straordinaria ed una diffusione mondiale, “Frankenstein, or The Modern Protheus” scritto da Mary Godwin Shelley e “The Vampire” da Polidori.

I personaggi principali dei due racconti, Frankenstein e Dracula, diverranno degli archetipi degli incubi irrazionali del mondo moderno e tecnologico, dando corpo a tutte le paure della timorosa società borghese che si andava sviluppando in Europa.

 

La presenza di aerosol atmosferico, costituito da particelle di minime dimensioni (principalmente ceneri e polveri), provoca un fenomeno di diffusione della radiazione solare.

La parte dello spettro luminoso di maggiore lunghezza d’onda (cioè di colore dal giallo al rosso) è meno deviata nella direzione dell’osservatore a terra rispetto alle altre.

Ciò spiega l’arrossarsi del cielo al tramonto dove i raggi solari, causa la traiettoria sempre più tangente alla superficie terrestre, attraversano un tratto più lungo di atmosfera incontrando una maggiore quantità di aerosol che ne disperdono quasi completamente la componente blu.

I crepuscoli del 1816, a causa della presenza in atmosfera di inusitate quantità di ceneri vulcaniche, presentarono una abnorme luminosità rossastra; ne fu ispirato il grande pittore inglese Joseph Mallord William Turner che immortalò sulla tela questi tramonti così anomali e straordinari documentando in modo inequivocabile la situazione eccezionale che si era verificata.

 

La variazione dell’attività solare è stata spesso indicata come corresponsabile di cambiamenti climatici anche se, a tutt’oggi, malgrado la messa a punto di sofisticati modelli atmosferici, una sua stretta connessione con la meteorologia troposferica ed il clima non è stata trovata.

Durante i periodi di maggiore attività vi è un piccolo aumento dell’energia solare depositata nella stratosfera che sembra però avere effetti climatici limitati sulla superficie terrestre ed in ogni caso trascurabili rispetto al contributo antropogenico.

L’intensità della radiazione solare è correlata col numero delle macchie solari scoperte da Galilei nel 1612.

Queste sono delle zone che affiorano sulla superficie a seguito di violente tempeste magnetiche nella parte interna del sole; si tratta di veri e propri tubi di flusso magnetico con temperature inferiori di quasi duemila °C rispetto a quella della superficie del Sole, la fotosfera, che è di circa seimila °C, ed hanno quindi minore luminosità per cui sono visibili come macchie più scure.

Compaiono inizialmente alle latitudini più elevate per poi portarsi verso la fascia equatoriale; col passare del tempo sbiadiscono e scompaiono del tutto.

Il grafico della media annuale delle macchie solari a partire dal 1600 evidenzia un andamento sinusoidale con picchi di differente ampiezza che si ripetono all’incirca ogni undici anni, il cosiddetto ciclo solare.

L’unico fatto singolare che emerge da questi dati è la quasi totale assenza di macchie solari tra il 1645 ed il 1715, periodo chiamato “minimo di Maunder” dal nome dell’astronomo Edward Walter Maunder che lo scoprì pubblicando i risultati alla fine del 1800.

Questo periodo coincide con la parte centrale della piccola era glaciale compresa fra la metà del secolo XVI e la metà XIX secolo, che colpì sicuramente l’emisfero settentrionale.

Canali e fiumi dei Paesi Bassi si congelarono e così il Tamigi che rimase gelato per sette settimane nell’inverno 1683-1684.

Nell’inverno del 1780 il ghiaccio si estese sul porto di New York permettendo di andare a piedi da Manhattan a Staten Island.

Il mare ghiacciò attorno all’Islanda per parecchi chilometri impedendo l’accesso delle navi nei porti.

Il clima terrestre cominciò a risalire nel 1850 per stabilizzarsi in seguito sui valori attuali.

Le cause della piccola era glaciale sono molto dibattute; oltre alla scarsa attività solare si è visto che dal 1258 in poi vi era stata una serie di violente eruzioni vulcaniche fino a quella del vulcano Tambora del 1815, di cui abbiamo parlato, che avranno senz’altro contribuito al raffreddamento della superficie terrestre.

Ad oggi tuttavia una spiegazione esauriente della complessità e della lunga durata di questo fenomeno non è stata ancora trovata.

 

Ad inizio Luglio di quest’anno la professoressa Valentina Zharkova della Northumbria University con i colleghi Simon Shepherd della Bradford University, Helen Popova della Lomonosov Moscow State University e Serghei Zarkhov della Hull University, ha presentato al National Astronomy Meeting di Llandudno, nel Galles, una comunicazione che ha fatto scalpore attirando l’attenzione della stampa di tutto il mondo.

I risultati dello studio, basato su un nuova modellizzazione dell’attività solare, predicono che tra circa quindici anni si possa verificare una condizione paragonabile a quella che ha portato al “minimo di Maunder” sopra descritto.

L’attività del sole diminuirebbe del sessanta per cento, dando inizio ad un periodo di miniglaciazione con pesanti conseguenze su tutto il nostro ecosistema e sulle condizioni di vita delle popolazioni maggiormente coinvolte.

Questa previsione è stata criticata da molti climatologi che sostengono che l’effetto delle variazioni solari è nettamente secondario rispetto alla tendenza dell’atmosfera a riscaldarsi a causa dell’effetto serra in quanto è dimostrato che l’attività solare ha un modesto impatto sul clima terestre.

La professoressa Zharkova ha però obiettato che il suo lavoro riguarda il cambiamento dell’attività solare e non il suo effetto sul clima, che potrebbe comunque verificarsi.

Lo studio del gruppo anglo-russo usa un nuovo modello dei cicli solari e parte dalla constatazione sperimentale che il cosiddetto “battito cardiaco” del Sole, cioè il ciclo delle macchie solari, presenta delle irregolarità variando tra i dieci ed i dodici anni.

I modelli precedenti si basano sulla esistenza di un potente campo magnetico generato dal moto turbolento del plasma e delle particelle cariche nella zona convettiva all’interno del Sole.

Si parla di un effetto “dinamo”, in quanto l’energia elettromagnetica necessaria è generata dalla rotazione del Sole su se stesso.

Il campo magnetico inverte il proprio verso all’incirca ogni undici anni in corrispondenza del massimo dell’attività solare.

Questo meccanismo è responsabile della comparsa di macchie solari, delle eruzioni superficiali e del comportamento del vento solare che proietta materia nello spazio, ma non riesce a spiegare le piccole differenze riscontrate nella “frequenza cardiaca” del nostro astro.

La Zharkova ed il suo gruppo hanno allora considerato un doppio effetto dinamo generato da coppie di onde magnetiche che si originano e circolano in due strati diversi del Sole, uno vicino alla superficie, l’altro all’interno della zona convettiva, ambedue con una frequenza di circa undici anni.

Quando questa coppia è in fase si ha una forte interazione reciproca con un conseguente fenomeno di risonanza che provoca un’intensificazione dell’attività solare.

Esaminando tre cicli solari che coprono il periodo dal 1976 al 2008, utilizzando le osservazioni del campo magnetico rilevate dal Wilcox Solar Observatory in California, e valutando il numero medio di macchie solari, i ricercatori hanno riscontrato un accordo del novantasette per cento tra i dati sperimentali e le stime delle loro simulazioni, una concordanza mai raggiunta in precedenza.

Estendendo le previsioni del modello per i prossimi cicli è risultato dai calcoli che la coppia di onde magnetiche in rotazione tenderà ad andare fuori fase nel 2022 determinando una progressiva riduzione dell’attività solare.

Nel battito successivo, e cioè fra il 2030 ed il 2040, le onde andranno totalmente fuori sincronia, la loro interazione sarà distruttiva ed i contributi all’attività solare si annulleranno reciprocamente.

Questo fenomeno, che durerebbe un decennio, potrebbe riportare il pianeta alla situazione del minimo di Maunder del 1645.

Come si vede da questa presentazione sommaria, i pericoli maggiori che l’uomo corre non dipendono solo dalla sua stoltezza (esplosione demografica fuori controllo, inquinamento, distruzione delle risorse, guerre atomiche etc.), ma possono derivare da pestilenze (la “spagnola” tra il 1918 ed il 1920 fece un numero imprecisato di morti stimati oggi ad oltre cinquanta milioni, più dei dieci milioni di vittime della prima guerra mondiale e più della peste di Giustiniano), da fenomeni geologici come terremoti ed eruzioni vulcaniche a tutt’oggi scarsamente prevedibili e quantizzabili, a mutamenti dell’attività radiante del sole ed ancora, anche se con minima probabilità, dall’impatto con meteoriti di grandi dimensioni.

Quale futuro allora per il genere umano?

Non resta, in molti casi, che rifugiarsi nell’idea un po’ vaga e forse ingenua del “destino”, ricordando, con la mirabile concisione di Tacito, che “Quae fato manent, quamvis significata, non vitantur”

(Le cose che sono scritte nel destino, anche se riusciamo ad intravvederle, non si possono evitare).

Francesco Cappellani