Copto, come indica la sua etimologia e la sua consonanza, significa semplicemente egiziano.
Infatti i Copti sono i discendenti degli abitanti dell’Egitto bizantino rimasti fedeli alla fede cristiana anche dopo la conquista mussulmana del VII secolo.
Non era stata una conquista difficile, meno di dieci anni dopo la morte del Profeta Maometto, in una paese poco disponibile a difendersi, già insofferente al pesante dominio politico e dogmatico di Costantinopoli.
L’islamizzazione del Paese fu progressiva dato che la maggioranza della popolazione rimase cristiana probabilmente fino alla fine del Medio Evo e, nell’ Alto-Egitto, zona poco interessante per i conquistatori, più a lungo ancora.
Da un altro lato però l’insieme della popolazione finì per adottare la lingua araba e perciò il copto che veniva dall’egiziano antico, non è più utilizzato se non a fini liturgici.
Ad oggi, a causa della delicatezza della questione, non si dispone di statistiche certe circa il numero di Copti.
Le stime, spesso interessate, indicano per la maggior parte un numero tra il cinque e il dieci per cento della popolazione totale e cioè dai quattro agli otto milioni di Copti.
Le due regioni a più alta densità copta sono l’Alto-Egitto da una parte, quindi un mondo rurale, e l’agglomerato del Cairo, con più di un milione di Copti, dall’altra.
La situazione cambia con la Rivoluzione del 1952 che comporta la partenza degli Inglesi, l’abolizione della monarchia, l’arrivo di Nasser a capo del Paese e l’instaurarsi di un ‘socialismo arabo’.
Nazionalizzazioni e riforme agrarie giocano a sfavore della grande borghesia copta, una parte della quale sceglie quindi e pertanto l’emigrazione.
I Copti perdono anche le loro posizioni nel sistema dello Stato a parte qualche brillante eccezione come Boutros Boutros Ghali, ministro per gli affari esteri, poi vice primo ministro dal 1977 al 1991 e successivamente segretario generale delle Nazioni Unite.
Le concessioni fatte da Anouar el Sadat e poi da Hosni Moubarak alla società conservatrice islamica nella speranza di contrapporsi alla popolarità montante dei Fratelli mussulmani, contribuiscono alla crescita delle tensioni interconfessionali e pongono in grave difficoltà la comunità copta.
L’1 gennaio 2011, una bomba artigianale uccide ventitre fedeli copti e ne ferisce un centinaio di fronte ad una chiesa d’Alessandria.
L’emozione e l’agitazione che seguono, danno il via ad un movimento rivoluzionario che debutta il 25 gennaio sulla piazza Tahrir e chiede l’uscita di scena di Mubarak.
Tale movimento, Copti in prima fila, supera per un po’ le differenze confessionali.
Ma l’unanimità iniziale si dissolve con l’entrata in scena dei Fratelli mussulmani e la conquista, da parte loro, delle istituzioni.
Di nuovo, si liberano le passioni settarie che portano ad attentati omicidi, alla distruzione di chiese, a scontri violenti tra comunità e fino a scontri tra i Copti e la polizia.
Per questo la maggioranza del Paese accoglie con sollievo che l’esercito riprenda il comando, destituisca il presidente Morsi e ponga alla presidenza il Maresciallo Al Sissi, malgrado il costo del processo in materia di libertà politiche e dei diritti dell’uomo.
La comunità copta, privilegiata per alcuni aspetti, discriminata per altri, attenta alle sorti degli altri cristiani nel mondo arabo, si sente più fragile e si preoccupa per il suo futuro sotto la pressione del fondamentalismo islamico.
Eppure fa parte intimamente della società egiziana e mal si immagina che l’Egitto possa alienarsela senza distruggere una parte essenziale di sé.
Francois Nicoullaud