Come vedo gli Stati Uniti

Per chi si sente profondamente europeo, non certo nel brumoso senso brussellese, ma in quello luminoso di una cultura intrisa di tradizioni secolari, gli Stati Uniti d’America sono una sorta di rompicapo.

Ecco un figlio che pur se per certi versi somiglia al padre, da lui si differenzia per molti aspetti: un ragazzone cresciuto che ancora ricordiamo con i calzoni corti ma si è fatto strada nella vita per conto suo.

Eppure il padre avrebbe immaginato per lui qualcosa di diverso: che gli somigliasse in tutto e per tutto.

Così è questo nostro figlio, che è andato rapidamente avanti, lasciandoci nelle nostre beghe, nei nostri rimpianti, nel nostro passato.

Non che abbia tagliato né rinnegato le sue radici, che sono le nostre, anzi le conserva e le onora nei musei delle sue città, grandi e piccole, dove sono raccolte tante opere preziose del vecchio continente, e nella continua osmosi della sua con la nostra letteratura.

Ma egli, quel nostro figlio, si gloria di altro, delle sue realizzazioni, delle sue invenzioni, della sua architettura, delle sue università.

Non possiamo essere insoddisfatti per quello che egli ha fatto, eppure lo troviamo forse troppo pratico, troppo svelto nel giudicare e nell’agire.

Da un canto ci sembra che il suo gigantismo, le sue opere colossali, i suoi stupefacenti progressi scientifici ci umilino, dall’altro ci duole notare che essi non si coniugano con quella finezza che noi avevamo realizzato nei secoli e che avremmo voluto tramandargli.

Accettiamo le sue realizzazioni nel campo scientifico ed in quello tecnico, perché ci convengono, ma non quel suo voler darci delle lezioni e così mostrarci quanto siamo rimasti indietro.

Forse ha ragione lui, questo figlio troppo cresciuto, come hanno ragione i giovani con la loro inquieta e feconda vitalità nei confronti degli anziani.

Dei due figli che la nostra Europa, la mia Europa, ha creato nel nuovo continente – gli Stati Uniti e l’America Latina – il secondo con i suoi innumerevoli problemi la sua instabilità e la sua ininterrotta rissosità è più vicino al mio cuore, ma è il primo che, non senza rammarico, debbo ammirare.

Alberto Indelicato