Se avessi preso un’altra strada…

“Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza”.

Era questo il tema che mi fu proposto   il 14 luglio del 1948 per la prova scritta d’italiano per la licenza liceale.

Non ricordo che cosa scrissi, probabilmente rimandai la sentenza ad un postero più postero di me; ma ricordo bene che uscendo mi imbattei in torme di dimostranti comunisti furibondi per l’attentato a Togliatti.

Una settimana dopo affrontai le prove orali, dove me la cavai così così tranne che in filosofia.

Qui celebrai il mio trionfo.

Era una materia che mi era sempre piaciuta ed avevo anche abbozzato un piccolo saggio contro il dogmatismo, ignorando che non ero il primo ad affrontare l’argomento.

L’esaminatore mi chiese di mettere a confronto l’idealismo di Platone e quello di Hegel.

Era invitarmi a nozze: mi scatenai in quell’esercizio con decisione ed una eloquenza che non avrei più ritrovato.

I membri della commissione mi guardavano stupefatti ed ammirati.

Mi interruppero soltanto perché c’erano gli altri candidati da esaminare.

Mi convinsi che quella era la mia strada.

Qualche giorno dopo chiesi consiglio al mio professore di filosofia: dovevo iscrivermi alla facoltà di filosofia?

La risposta mi gelò: “Certo, se vuoi morire di fame”.

Poi mi consolai pensando che egli aveva pensato che volessi seguire le sue orme e fare il docente in un liceo.

Ma io pensavo a ben altro.

Non volevo come lui raccontare a dei ragazzi indifferenti e annojati chi fossero stati Talete, Anassimandro e Anassimene, parlare di Parmenide ed Eraclito, di panta rei e cogito ergo sum, o di rovesciamento della prassi…

No, io volevo essere proprio filosofo, completo di un mio sistema filosofico, avrei voluto navigare nelle alte sfere della conoscenza, avrei sfidato Marx, Schopenhauer, Nietzsche sul loro stesso terreno.

C’era però un piccolo problema: nel frattempo che cosa avrei fatto per vivere?

Bisognava trovare una professione o un mestiere che mi permettesse di frequentare l’università, guadagnare ed avere anche il tempo per cominciare ad elaborare il mio sistema filosofico.

Pensai di fare l’assicuratore ma non riuscii a trovare nessuno che si volesse fare assicurare.

Sembravano tutti ignari dei pericoli e delle alee della vita.

Peggio per loro.

Perché non tentare con il giornalismo?

Era stato da poco lanciato un nuovo quotidiano e forse c’era bisogno di un giovane sveglio come me.

Mi presentai alla redazione dove fui accolto con entusiasmo e mi offrirono diecimila lire al mese per fare il cronista.

Avevo sperato in una retribuzione maggiore ed in compiti più importanti che riferire sul velocipedastro che investe una vecchietta o sull’inaugurazione del circolo bocciofilo di un quartiere.

Un po’ deluso mi riservai una risposta.

Andai quindi alla segreteria dell’università per iscrivermi.

In che facoltà? mi chiese l’impiegato.

Esitai un poco: filosofia, avrei voluto rispondere.

Ma mi risuonarono all’orecchio le parole del mio professore: “se vuoi morire di fame”.

Ma che importava la facoltà, che forse i grandi filosofi erano usciti tutti dall’università?

Si può essere grandi filosofi anche senza la laurea specifica, Benedetto Croce non aveva nessuna laurea eppure…

“Giurisprudenza”, risposi.

Il giorno dopo tornai alla redazione del quotidiano, dove appresi che il posto di cronista era già stato assegnato ad un altro.

Finì che non fui filosofo né giornalista.

Ho più volte ripensato a come sarebbe stata la mia vita se tutto fosse andato come per qualche tempo avevo immaginato e progettato.

Divenuto filosofo, laureato o non laureato, la mia fama sarebbe cresciuta e si sarebbe diffusa in tutti gli ambienti interessati.

Avrei pubblicato prima un abbozzo di sistema che avrebbe richiamato l’attenzione dei competenti e quindi un grosso tomo sui ”Fondamenti di una nuova filosofia” che avrebbe costituito un capovolgimento rivoluzionario di tutto il pensiero del Novecento e di cui si sarebbe parlato anche nei settimanali illustrati.

Nel frattempo avrei anche fatto carriera in quel giornale, da cronista sarei diventato redattore, poi inviato speciale, infine direttore.

È inutile dire che da quel piccolo giornale sarei passato   ad un altro più importante quotidiano.

Sarei stato nel contempo grande filosofo e grande giornalista: ce ne sono stati e forse ce ne sono ancora.

Niente di tutto ciò è avvenuto.

Colpa mia, per aver ambito a qualcosa di troppo alto, o per aver esitato ad accettare l’incarico di cronista?

O colpa del professore che mi aveva scoraggiato dal seguire il corso di filosofia?

Non saprei.

Tuttavia se mi fossi laureato in filosofia e non avessi prodotto nessuna opera importante che cosa avrei potuto fare se non insegnare a degli zucconi la logica aristotelica e spiegar loro cosa sono gli universali o che l’essenza precede l’esistenza o viceversa?

E se da cronista non fossi mai asceso a maggiori incarichi redazionali? Se fossi rimasto nel mio umile posto andando a caccia di scippatori e di cani schiacciati da automobilisti ubriachi?

Anche i cronisti sono utili, molti giornali si vendono non per gli editoriali o gli elzeviri ma per le notizie di nera o di bianca: “Lieto evento in casa del nostro capo-tipografo”.

A proposito, seppi poi che il giornale a cui avevo offerto i miei servigi aveva chiuso i battenti un pajo d’anni dopo, per mancanza di finanziamenti, restando debitore di varie mensilità di stipendio verso tutti i collaboratori.

Alberto Indelicato