La collaboratrice domestica della Signora V.D. ha trovato nel suo cestino della carta straccia, debitamente appallottolata, la seguente lettera, di cui ci ha cortesemente fatto dono:
Cara Signora e, se mi è concesso, Cara Amica,
Le sono profondamente riconoscente delle gentili espressioni che Ella ha usato nei miei confronti permettendomi di ripeterLe per iscritto quanto osai dirLe l’ultima volta in cui ebbi il privilegio di parlarLe.
Le manifestai allora quel sentimento che non esito a definire con una parola desueta, ma che corrisponde perfettamente al moto sincero del mio animo.
Questa parola, come Lei certamente ricorda, è amore.
Lei ricambiò quella mia confessione con un gentile sorriso che non mancò di riempirmi di speranza, ma aggiunse subito che per esser certa della genuinità del mio sentimento mi avrebbe messo alla prova. Risposi che ero pronto a superare qualunque ostacolo pur di convincerla e di ottenere da Lei quel premio che solo avrebbe soddisfatto la mia aspirazione: l’essere ricambiato e godere con Lei dei frutti di un rapporto che ci avrebbe eternamente uniti.
Immaginavo che mi avrebbe chiesto di combattere contro un essere mostruoso – un drago, un gigante, una bestia feroce – ed ero disposto ad affrontare quel cimento per quanto rischioso.
O Lei mi avrebbe piuttosto chiesto di affrontare in singolar tenzone un esperto spadaccino o di battermi in duello con un pistolero del più selvaggio e remoto West?
Neanche e queste perigliose sfide mi sarei sottratto, benché non abbia mai tenuto un’arma in mano.
Che cosa avrei rischiato: perdere una vita che sarebbe stata inutile se non allietata dalla Sua intimità?
E sia, avrei accettato l’alea, che sarebbe stata ben poca cosa al paragone del premio che avrei ottenuto in caso di successo.
Ma Lei con un leggero cenno del capo mi disse che ben altra era la prova a cui intendeva sottopormi ed io mi chiesi se non si sarebbe trattato di camminare a piedi nudi su dei carboni ardenti o attraversare a nuoto il Canale di Sicilia.
Non so nuotare ma come avrei potuto rifiutarmi?
Omnia vincit Amor, mi sarei detto, ed il putto alato che non abbandona mai i suoi devoti avrebbe supplito a tutte le mie insufficienze e debolezze.
Mentre mi ponevo questi interrogativi e mi davo queste consolanti rassicurazioni, Lei continuava a guardarmi con quel suo sorriso che, pur se venato di una sottile benevola ironia, non mancava di incantarmi.
Alla fine Lei, con voce calma ma decisa, mi rivelò che cosa attendeva che io facessi per meritare il suo sospirato assenso alla mia aspirazione.
“Lei, mi disse, deve descrivere le mie fattezze fisiche in maniera realistica, ma senza usare le espressioni abituali, le frasi fatte, le parole abusate, i logori complimenti dei grandi e piccoli amatori del passato.
Bando quindi a “tanto gentile e tanto onesta pare” o “la bella persona”, o “affascinante”, “incantevole”, “meravigliosa”, “angelicata” o paragoni con la Venere di Milo o quella del Botticelli.
Mi attendo che per me lei inventi nuovi termini, ineffabili espressioni, parole originali mai usate prima per una donna amata.
Accetta?”.
Non nego che per un attimo tremai.
Ma la posta in gioco era molto alta e senza ulteriore titubanza la mia bocca pronunciò un sì convinto.
Ed eccomi ora, cara Amica, pronto a sottoporle il risultato delle mie fatiche: dirò dunque anzitutto che il Suo corpo, quale mi apparve durante la stagione balneare, è “mozzafiato” e tale da suscitare un “cardiopalma” in chi lo guarda.
Scendendo nei particolari aggiungerò che sia la sua parte anteriore che quella posteriore, o se preferisce sia il recto che il verso del Suo fisico richiamano quel quadro di Edvard Munch in cui si vede un uomo su un ponte che lancia un grido.
Non mi fraintenda, la prego.
Nel suo caso non è la paura, sia pure reverenziale, a causare un grido, ma la meraviglia che si manifesta di fronte ad un prodigio.
Infatti quelle parti della Sua persona a cui ho accennato non possono che provocare un’ammirazione incontenibile: sono infatti “da urlo”.
Se poi dovessi riassumere il tutto con una semplice parola dirò che Lei, Signora, è una donna “solare”.
Sicuro di aver ottemperato alle Sue condizioni utilizzando un linguaggio mai impiegato prima d’ora, resto in attesa con animo sereno della sua sentenza che, ne sono certo, non potrà che essere favorevole e premiare la mia fertile inventiva.
Mi creda, di Lei devotissimo
(segue la firma che per discrezione omettiamo.
Si ignora se la promettente storia d’amore abbia avuto un seguito).
Alberto Indelicato