La Lotta Svizzera

C’è un toro che se ne sta tranquillo nella sua stalla improvvisata all’esterno dell’arena dove si combatte.

Centinaia di persone lo vanno a guardare, poi due volte al giorno il proprietario lo porta a passeggiare nel catino dello stadio fra i commenti ammirati degli anche quarantamila spettatori che dal mattino alle sette si assiepano sulle tribune.

Adrian andrà in premio al vincitore della festa di lotta, il colosso che vincerà lo “Schlussgang”, la finale di un torneo fra migliori lottatori, praticanti di una disciplina che nella Svizzera tedesca è vissuta come un rito collettivo dalle radici antiche.

Il toro è tradizionalmente il premio per le feste più importanti, quelle che attirano decine di migliaia di persone in un week-end.

La Festa Federale si svolge ogni tre anni ed è un po’ come le Olimpiadi, ma anche altri tornei hanno un’ importanza enorme nel mondo della lotta svizzera.

Il pubblico non lascia mai la presa, come i lottatori in pantaloni di juta, segue con passione e dedizione i combattimenti che si svolgono sui cerchi di segatura al centro dello stadio.

Ogni tanto esplode un applauso accompagnato dall’urlo liberatorio del vincitore.

Un “kurz” – mossa rapida eseguita con uno sgambetto – eseguito alla perfezione ha messo con la schiena nella segatura un lottatore.

Il vincitore pulisce dalla segatura la schiena dello sconfitto, come impone il rituale.

Chi vince un combattimento con un “Plattwurf”, un colpo secco portato dalla posizione eretta, incassa dieci punti.

Il perdente ne prende solo nove.

C’è anche il pareggio (quando nessuno dei due lottatori finisce con entrambe le spalle nella segatura, si chiama “Gestellt”) e ci sono varianti di punteggio che i giudici possono decidere, il tutto per comporre una classifica finale dopo otto turni di combattimenti.

Alla fine solo i due migliori affronteranno l’estenuante “Schlussgang”, che può durare anche quindici minuti, un’eternità.

Le mosse catalogate sono un centinaio, le regole solo apparentemente semplici.

Le feste di lotta hanno un padrone, che si chiama Obmann, ed è colui che stabilisce gli accoppiamenti.

Non è un tabellone di tipo tennistico, nei primi turni i migliori combattono con i migliori, puoi trovare il corrispettivo di un Nadal-Federer alle sette del mattino.

Man mano che la classifica si compone, il gruppo si screma, chi arriva alla fine è certamente il migliore di giornata.

Il calendario delle feste di lotta è impressionante, ogni fine settimana gli appassionati si spostano da un luogo all’altro per vivere un nuovo capitolo di una storia che raccoglie le pulsioni profonde del mondo contadino e prosegue immutata negli anni.

Tutto sa di antico, di difesa aspra dei valori tradizionali, di chiusura alla modernità.

Non c’è un lottatore del quale si possano sospettare origini diverse da quelle puramente svizzere.

La Svizzera multietnica non esiste nei cerchi di segatura, anche se turchi e slavi hanno tradizione eccellente negli sport di lotta.

Non accedono però ai club di “Schwingen”.

Eppure qualche lampo di concessione al nuovo che avanza si riesce a trovare.

La ragazza di origini indiane vestita in costume tradizionale appenzellese che attraversa lo stadio per consegnare al presidente della Confederazione lo spartito originale della marcia composta per l’occasione (come successo alla Festa Federale a Berna qualche anno fa) rappresenta forse un’immagine futuribile per l’ambiente: anche i più accaniti conservatori dovranno un giorno o l’altro arrendersi ad accettare ragazzi di origine turche o slave che si sporcheranno di segatura come i figli dei contadini del Mittelland bernese.

Il futuro non sembra essere la preoccupazione maggiore, troppo grande è la fiducia nelle radici, nel valore assoluto delle tradizioni.

Anche la lotta svizzera ha dovuto comunque concedersi alla modernità, cum grano salis, ovviamente.

Nell’epoca della globalizzazione e dello sport trasmesso in televisione da ogni angolo del mondo, questa disciplina sta vivendo un momento d’oro.

In Svizzera Tedesca e in parte di quella romanda è diventata un fenomeno di grande successo.

Una festa federale ha un budget di venti milioni, gli sponsor accorrono, anche se all’interno dell’ arena non c’è uno striscione o una pubblicità.

È il paradosso della tradizione che trionfa quando tutto si omogeneizza, un’affermazione di identità che ha superato i confini della Svizzera contadina e nella quale si mescolano orgoglio e nostalgia, fierezza e conservatorismo.

In un week end anche centomila persone affollano lo stadio e il barnum di bancarelle costruito attorno: ristoranti e mercatini, nei quali l’aria è intrisa di profumi e sapori che vanno dalle salsicce al formaggio fuso, ma anche dal kebab al chili.

Per ora è solo la segatura a rimanere sacra.

In mezzo a tutto questo si vedono pochi poliziotti, la sicurezza è assoluta, nemmeno chi ha bevuto troppo dà fastidio, anche se la birra scorre a fiumi.

Bisogna andare in un luogo come il Brünig o nel bosco di Interlaken per capire come mai questa parte di Svizzera è diffidente verso gli stranieri, diventa intollerante alla microcriminalità, è pronta a sostenere iniziative anti-stranieri.

“Ma come?”, sembrano dire donne e uomini di questa Svizzera profonda che portano con orgoglio i costumi tradizionali, “Noi ci troviamo in decine di migliaia, festeggiamo, beviamo, lottiamo e nulla turba questa oasi di pace.

Però a casa nostra dobbiamo chiudere a chiave le porte e mettere gli allarmi antifurto”.

Oggi i migliori lottatori si devono allenare tre-quattro volte alla settimana, curano forza e agilità perché per sopravvivere nel “Sägemehlring” (il cerchio di segatura) ci vogliono muscoli d’acciaio e capacità di battere sul tempo l’avversario, curano l’alimentazione come qualsiasi altro atleta di punta.

Si sussurra che qualcuno tenti di barare e utilizzi gli anabolizzanti per gonfiare i muscoli.

Il controllo antidoping è stato introdotto da pochi anni, perché la lotta svizzera non può permettersi passi falsi.

Se parli di questo con gli “schwinger” ricevi solo risposte secche: “Siamo puliti, ci mancherebbe altro”.

Come in tutti gli sport però per emergere bisogna andare al massimo e la sola identificazione patriottica non può bastare per garantire la correttezza assoluta.

L’arrivo dei controlli ha rappresentato un piccolo shock attorno ai cerchi di segatura, dove l’abbigliamento è ancora incontaminato: maglietta e pantaloni di panno bianco per i “turner”, gli esponenti delle società di ginnastica, camicia a quadri e pantaloni scuri per i “Sennen”, gli eredi dei contadini di montagna.

La lotta svizzera è nata negli alpeggi, era il passatempo di chi passava le serate attorno al fuoco dopo aver accudito greggi e mandrie.

Poi è scesa al piano, è stata codificata e all’inizio dell’Ottocento è diventata addirittura simbolo patriottico, quando nel 1805 a Unspunnen si celebrò la festa nazionale di tradizioni alpine e i cantoni svizzeri sotto dominio francese vollero riaccendere lo spirito di una nazione.

Fino all’inizio del Novecento le sfide fra “turner” e “sennen” erano veri e

propri derby, scontri di culture oltre che di muscoli.

Oggi si combatte allo stesso modo dappertutto, anche se la rivalità fra federazioni concorrenti resta altissima.

Non provate ad esempio a dire a un bernese che i migliori lottatori nascono nella Svizzera Centrale, vi stenderebbe con un “Brienzer”, una mossa micidiale che potrebbe abbattere un toro.

Maurizio Canetta

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