Un poeta americano sul lago di Como: Ezra Pound e il Broletto

Indietro negli anni, nel corso di ricerche sulle “carte italiane” di Ezra Pound, nei meandri dell’archivio del Comune di Como mi capitò d’imbattermi, entro polverosi fasci di documenti, nell’inequivocabile firma del poeta sopra una cartolina inviata nel febbraio del 1938 alla redazione della rivista municipale Broletto.

La curiosità mi spinse subito a inseguire l’inattesa “epifania” e a ricostruire – tra continui stop and go imposti dai casi della vita e imprescindibili approfondimenti che mi avrebbero poi condotto fino a Yale – la storia di una breve stagione in cui il battagliero americano affidò alla testata lariana i suoi sogni, i suoi entusiasmi, le sue invettive.

Oggi, alfine, il lavoro è concluso e quella storia dimenticata è un libro.

 

Il Broletto, “mensile di cultura e turismo”, traeva il proprio nome dal bel palazzo gotico situato nel cuore stesso di Como, antico centro politico e culturale della città.

Tale volle esserlo, nelle intenzioni dei suoi promotori, anche la rivista. Essa nacque nel 1935 soprattutto per iniziativa di Carlo Peroni (in seguito podestà di Blevio, comune del Basso Lario dove egli aveva una residenza estiva nella quale finì per trasferirsi), un milanese innamorato del lago di Como, eclettica figura di animatore culturale, gallerista e collezionista che ne fu l’instancabile direttore.

è evidente, fin dal suo primo numero, il carattere di assoluta aderenza della rivista alle direttive del Regime, talvolta con toni da “strapaese” non di giustapposti ad altri di apertura all’Europa e al mondo.

Culturalmente, fu voce di seconda fila, non assimilabile ad altre testate artistico-letterarie che costellarono il panorama di quegli anni, da Pegaso a Primato: una rassegna di belle lettere, arti e curiosità, a metà strada tra il salotto culturale e quello mondano.

Grazie alle conoscenze di Peroni, non di meno, diversi collaboratori di spicco vi prestarono il proprio nome.

Tra questi, Alberto Savinio, condirettore per pochi mesi, Margherita Sarfatti, Enrico Falqui, Bruno Barilli, Piero Gadda (cugino di Carlo Emilio), Diego Valeri, Delio Tessa e Carlo Linati che vi pubblicò le sue celeberrime Passeggiate lariane.

A essi, infine, si aggiunse Ezra Pound, l’enfant terrible della letteratura anglofona che insieme a James Joyce e Thomas Stearns Eliot è annoverato tra i massimi esponenti del Modernismo.

Nato nel gennaio del 1935, il Broletto pubblicò, in quell’anno, tutti i fascicoli previsti, anche se molte furono le difficoltà in un biennio, quello 1935-1936, che portava il segno della guerra in Etiopia e delle sanzioni comminate all’Italia dalla Società delle Nazioni.

Invano se ne attenderà, all’inizio del 1936, un altro numero.

«Per ragioni di economia del bilancio comunale, ma soprattutto in osservanza alle superiori disposizioni per le restrizioni dei consumi», ovvero in conseguenza delle “inique sanzioni”, la rivista interruppe le pubblicazioni.

Occorrerà attendere il gennaio del 1937 per ritrovarla: da allora, essa procederà con regolarità fino al dicembre del 1938, data in cui, questa volta definitivamente, chiuderà i battenti.

Tra i collaboratori stranieri del Broletto, Pound fu senza dubbio il più famoso.

A quell’epoca egli viveva stabilmente in Italia ormai da più di un decennio.

Stanco di una Parigi che considerava ormai “snervata”, s’era infatti trasferito a Rapallo alla fine del 1924, vivendovi ininterrottamente sino ai tragici giorni dell’aprile del 1945.

Negli anni Trenta egli cominciava a essere una “firma” nota anche nella provincia letteraria italiana: merito di Carlo Linati che sin dal 1921 ne aveva scritto e nel 1932, nella sua fortunata silloge Scrittori angloamericani d’oggi, gli dedicò un bel capitolo ai suoi collected poems, usciti negli Stati Uniti poco tempo prima.

Ma merito anche del proverbiale attivismo del poeta stesso che aveva reso la cittadina del Levante una sorta di capitale culturale dei “fuorusciti” americani e inglesi.

Alla “Ezuversità” di Rapallo – come fu scherzosamente chiamato l’estemporaneo centro di “irradiazione culturale” messo su da Pound, in casa sua, in quegli anni – passarono infatti moltissime straordinarie personalità del Novecento tra cui, solo a citarne alcune, Yeats, Eliot, William Carlos Williams, Ford Madox Ford…

Alla rivista lariana lo “zio Ez”, come incominciavano a chiamarlo, offrì un contributo significativo, se non per il numero degli articoli firmati, certo per gli spunti culturali che propose.

Vi introdusse alcuni critici e giornalisti vicini ai suoi gusti o alle sue teorizzazioni politico-economiche, già suoi collaboratori in analoghe e precedenti esperienze: la siciliana Lina Caico e lo spezzino Edmondo Dodsworth, affiancati da più recenti adepti, lo scozzese John Drummond, il genovese Ubaldo degli Uberti e il veneziano Carlo Izzo. Questo gruppo saprà assumere un ruolo importante nell’economia della pubblicazione, ritagliandosi con la rubrica “Servizio di comunicazioni” un angolo privilegiato dal quale affrontare l’analisi della produzione letteraria anglofona contemporanea e, insieme, divulgare il verbo del “maestro”.

Ezra Pound, ultimo a destra, a Bellagio nel 1938 con la moglie e i responsabili della rivista comasca 'Il Broletto'
Ezra Pound, ultimo a destra, a Bellagio nel 1938 con la moglie e i responsabili della rivista comasca ‘Il Broletto’

 

è possibile seguire, nell’inesauribile epistolario di Pound, la genesi della sua collaborazione al Broletto, nata, come spesso succede, da una catena di conoscenze.

A Carlo Peroni, egli fu presentato da Cornelio Di Marzio, presidente della Confederazione fascista dei professionisti e degli artisti e fondatore del Meridiano di Roma, settimanale “organico” al Regime a cui lo stesso Pound approderà nel 1939, in veste di “editorialista”, si direbbe oggi.

Di Marzio, a sua volta, venne introdotto allo scrittore da degli Uberti, amico del poeta fin dalla primavera del 1934.

Ubaldo degli Uberti, personalità colta e assai dinamica, era un capitano di vascello della riserva, agli ordini del quale Di Marzio aveva servito nel 1919 a Fiume.

Quasi coetaneo di Pound, egli ne divenne assiduo frequentatore, consapevole della sua non comune valenza umana e letteraria.

Come il poeta americano, avrebbe aderito alla R.S.I., perdendo la vita, amara ironia della sorte, sotto il “fuoco amico” di ausiliari russi della Wehrmacht il giorno dopo la fine della guerra.

Era così convinto della qualità e della pregnanza del messaggio poundiano e delle difficoltà che questo incontrava presso la cultura ufficiale italiana che, come ricorderà poi il figlio Riccardo, immediatamente «quei pochi amici che aveva che fossero in grado di capire Pound, egli li mise a disposizione del poeta e Pound fece lo stesso con lui»: uno di questi era proprio Di Marzio.

Il poeta ne scrive, per la prima volta, in una lettera all’anglista Carlo Izzo, tra l’estate e l’autunno del 1935.

Queste le parole di Pound di ritorno da Roma: «Caro Izzo, ho visto Di Marzio del Meridiano di Roma alcuni giorni fa. è disposto ad occuparsi del “servizio” su Broletto (…). Gradirebbe traduzioni dei miei versi. (…) Non ci sarebbe niente di male nel cacciar loro in testa un po’ della mia kultura».

Il “servizio” di cui Pound parla è, ancora in embrione, il “Servizio di comunicazioni” che prenderà avvio, passata la buriana delle sanzioni, soltanto nel 1938.

Come sappiamo, il Broletto aveva sospeso le pubblicazioni nel 1936.

Il “servizio” ristagnò anche tutto l’anno successivo, per sbloccarsi poi in extremis.

Pound ne scrive soddisfatto a Izzo in un’altra lettera del 7 dicembre 1937 da Rapallo: «Il direttore di Broletto vuole qualche decente informazione su libri ed autori americani e inglesi. Ha appena lasciato questa stanza. Accetta la designazione dei nostri critici e lascia a me la scelta del materiale da recensire. Vuole iniziare la rubrica con il numero di gennaio, e questo significa sveltezza. (…) Se ha in mente un articolo su un qualsiasi libro decente sconosciuto in Italia, per il primo mese potrebbe andar bene».

L’impresa era avviata.

Peroni provvedette a far stampare una circolare in inglese, redatta da Pound, nella quale si accreditava il “servizio” e se ne spiegavano finalità e modalità di attuazione: «Con l’istituzione di una nuova rubrica denominata “Servizio di comunicazioni”, Broletto intende dare ampia notizia di pochi libri stranieri selezionati che non hanno ricevuto adeguata attenzione da parte della stampa commerciale nei propri Paesi e, in ogni caso, di opere che si possono considerare di speciale interesse in quanto provocatorie o di innegabile valore permanente».

Valore permanente è un’espressione fondamentale, ribadita in un’ennesima lettera a Izzo circa un anno dopo (il 16 dicembre 1938), quando la breve stagione della rivista, senza che nessuno lo presagisse minimamente, volgeva ormai al termine: «Questa è un’attività critica seria, noi non siamo assoldati dal commercio letterario librario o da Mondadori. Noi vogliamo scegliere i dieci autori che siano degni di rimanere».

Quest’ultima frase apre una finestra sul clima mentale di Pound di quei giorni, quando egli «cominciò a scuotere Wyndham Lewis e William Carlos Williams perché costituissero con lui un nuovo cenacolo, con relativo manifesto, per la tutela della civiltà».

Urgeva, sopra ogni altra cosa, la definizione di quello che Pound (con un’espressione greca mutuata dall’etnologo tedesco Leo Frobenius), chiamava un nuovo paideuma, «il complesso delle idee, dominante e germinale, di un’epoca e di un popolo», una sorta di Zeitgeist (Spirito del Tempo) da materializzare in un canone essenziale da trasferire alle generazioni future.

Tale concetto (focalizzato nell’opera Guide to Kulchur, pubblicata nel 1938 ma portata a compimento già nel 1937), Pound iniziò a distillarlo in un corpus di scritti che volle diffondere ovunque, attraverso le più svariate collaborazioni giornalistiche, da un capo all’altro del mondo: il Broletto e il suo “Servizio di comunicazioni” rappresentano una tessera di questo variegato, pulsante mosaico testuale che, solo negli Anni Trenta, assomma a quasi un migliaio di pezzi.

Dalla corrispondenza con Izzo emerge anche la convinzione – da tempo radicata in Pound, sin da quando lo scriveva a Joyce, ancora a Trieste – dell’assoluta arretratezza delle lettere italiane.

«Tutto vomito datato 1889», sentenziava perentorio in una lettera a Izzo.

E a Carlo Peroni, nella primavera di quello stesso anno, aveva scritto: «Mi manda per mia propria informazione una listina di italiani scrittori VIVI che lei legge?», ricevendone un’imbarazzata ed evasiva risposta.

Un’opera di divulgazione come quella affrontata sul Broletto doveva, per Pound, anche aiutare a svecchiare la letteratura nazionale, vivificandola con iniezioni di cosmopolitismo.

Una “crociata” affidata tuttavia a una piccola rivista di provincia, tirata in mille esemplari, diffusa sostanzialmente in loco.

 

Pound inaugurò la collaborazione al Broletto nell’ottobre del 1937 con un racconto di ambientazione indù, scritto e pubblicato due decenni prima sulla Little Review a New York, una feroce satira del poeta indiano Rabindranath Tagore, nella versione italiana di Nina Ruffini.

Ma è solo l’anno successivo, col numero del gennaio 1938, che prende seriamente avvio il “Servizio”: da quel numero, non v’è fascicolo in cui, direttamente o “per procura”, Pound non faccia sentire la propria voce.

Direttamente, nel complesso, egli vi pubblicò tre altri articoli soltanto: uno dedicato all’opera di Frobenius, un altro sulla versione in inglese del Purgatorio dantesco del suo amico Laurence Binyon e un terzo, miscellaneo, di “orientamento” su temi storico-letterari contemporanei che spaziano dalla decadenza della cultura francese alle virtù etiche dell’antica Cina imperiale.

A quest’ultima – patria del confucianesimo, fonte millenaria di illuminazione, e creatrice della scrittura ideogrammatica – verranno dedicati altri pezzi da degli Uberti e dalla Caico, la quale, in uno di essi, “Gli albori della parola e dell’arte nei caratteri cinesi”, non manca di ricordare, nell’onorare la memoria dell’orientalista americano Ernest Fenollosa, il fondamentale ruolo di diffusore del “metodo ideogrammatico” rivestito in Occidente da Pound.

Fresco curatore, peraltro, de The Chinese Written Character as a Medium for Poetry (1936), collazionato a partire da manoscritti incompiuti affidatigli dalla vedova stessa di Fenollosa.

Oltre alla Cina, altri temi trattati nel “Servizio di comunicazioni” coinvolgevano l’attualità e la storia viste attraverso il filtro dell’economia politica, la scrittura musicale e la sua riproducibilità, argomento, quest’ultimo, affrontato con perizia da Olga Rudge, la violinista compagna di Pound, madre di Mary de Rachewiltz.

Uno spazio particolare, naturalmente, veniva riservato alla letteratura americana: ricordiamo un approfondito saggio sul poeta E. E. Cummings siglato da Dodsworth e un altro di Carlo Izzo su una pièce “sociale” di un drammaturgo oggi dimenticato, William Mahl, apprezzato, a quanto pare, solo da Pound.

L’esito maggiore, all’interno del “Servizio” del Broletto, è senz’altro costituito dall’articolo “Nel mezzo del cammin…”, nuovamente firmato da Izzo, breve rassegna della quinta decade dei Cantos poundiani, pubblicati appena qualche mese prima in Inghilterra e negli Stati Uniti. Universalmente, il brano poetico più conosciuto dello scrittore americano è certamente il canto XLV contra usuram, compreso in tale raccolta.

Izzo lo notò immediatamente e lo tradusse con la collaborazione di Pound.

A posteriori, possiamo ben dire che la sua pubblicazione fu uno degli esiti maggiori del mensile comense, un atto capace di svelare di colpo tutta la grandiosa, visionaria potenza di un’epica allora nota, in Italia, più per “sentito dire” che per conoscenza diretta.

La versione di Izzo, piuttosto letterale, è di ottima fattura, in alcuni passaggi straordinaria.

Tutti i temi della poetica poundiana sono alla fine rappresentati nel “Servizio di comunicazioni” del Broletto.

La bella rivista, come già s’è detto, non ebbe modo di vivere altre stagioni.

Come scrisse Peroni in un’ultima lettera a Pound, la ragione era sempre la stessa: «economia, economia, economia».

Tra i documenti superstiti della rivista ch’ebbi modo di vedere, una cartolina vergata con calligrafia elegante dal cesenate (d’adozione) Manlio Dazzi, umanista novecentesco grande amico di Pound, il 3 marzo 1939 ne recitava il miglior epitaffio: «La notizia che mi date della soppressione della bella rivista, mi addolora. Per quanto io non vi avessi collaborato che una volta, ne ero lettore, ammirato della varietà e del garbo sia della materia che della composizione, e mi pareva cosa che dicesse rimasta l’antica signorilità dei nostri Comuni». Questo accadeva ieri e accade oggi: sic transit gloria mundi.

Maurizio Pasquero