‘Il grande Lebowski’.
Perché una parte di me (la più sana?) vorrebbe qualche volta essere come Drugo.
Vivacchiando, gironzolando sandali e mutandoni, dormendo, fumando (moderatamente) erba, giocando a bowling con gli amici.
Perché John Goodman, schizzato reduce dal Vietnam è strepitoso.
Perché la frase “stai per entrare in una valle di lacrime” è un infallibile documento d’identità per individuare i nostri simili in un cena noiosa.
Perché la follia di John Turturro, lucidatore sadomaso di bocce, è indimenticabile.
Perché uno come Steve Buscemi, tenero e molesto nel vano tentativo di farsi ascoltare, io l’ho già incontrato nella mia vita reale.
Perché è un godimento rivedere ogni personaggio e ogni situazione nella mia moviola mentale.
Perché cosa c’è di più bello che raccontare per la millesima volta quella scena e quel dialogo ad altri sfaccendati che aggiungono un altro particolare, un’altra battuta? Perché si può andare avanti per ore ( a proposito, di che modello era l’auto distrutta per errore dagli scombiccherati?).
Perché ho visto e rivisto tutti film dei fratelli Coen (medaglia d’argento: ‘Fargo’; bronzo: ‘Luomo che non c’era’).
Perché la storia è squinternata ma il film scorre teso e veloce.
Perché ci sono talento e qualità, ma tutto sembra sgorgare naturalmente da una vena illogica e frizzante.
Perché se ci fosse un cinema che stasera ridesse ‘Lebowski’, e domani sera ‘The Blues Brothers’ e dopodomani ‘Divorzio all’Italiana’, ci andrei di corsa.
Ho detto cinema e non dvd.
Perché un cinema buio, vuoto e silenzioso è l’estremo rifugio dove sgranocchiare pop corn, uno per uno, dicendo a me stesso che qui sto finalmente bene.
Antonio Padellaro