Guerra al sonno

Il testo che proponiamo, di Jonathan Crary,  professore di teoria dell’arte moderna – università Columbia di New-York,  è apparso nel mese di giugno del 2014 su ‘Le monde diplomatique’. La traduzione è di Henry-Claire Nicoullaud. – MdPR

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E’ abitudine considerare il sonno alla stregua di una perdita di tempo o come inopportuno rilassamento dello stato di vigilanza.

Il sonno, per esempio, è utilizzato come metafora per descrivere l’apatia di un popolo rispetto all’oppressore. Nell’epoca in cui il capitalismo pretende che la vita umana somigli ad un processo di produzione e consumo ininterrotto, sarebbe forse opportuno rivedere tali rappresentazioni.

Chiunque abbia vissuto lungo la West Coast, in America del Nord, lo sa senza dubbio: centinaia di specie di uccelli migratori partono in volo ogni anno per coprire da nord a sud e viceversa, distanze variabili lungo questa piattaforma continentale.

Una di queste specie è la poiana dalla coda bianca.

A differenza della maggior parte dei suoi simili, questo esemplare possiede l’insolita capacità di poter rimanere sveglio, in periodo di migrazione, fino a sette giorni di fila.

Tale comportamento stagionale gli permette di volare anche di notte e di raccattare cibo durante il giorno senza riposarsi mai.

Negli ultimi cinque anni, il Dipartimento per la Difesa, negli Stati Uniti, ha devoluto grosse somme per lo studio di queste creature.

Con l’idea di ottenere informazioni utilizzabili dagli esseri umani, molte università e in particolare quella di Madison, Wisconsin, hanno beneficiato di somme significative per indagare sull’attività cerebrale di questi volatili durante i periodi di privazione di sonno.

Lo scopo è quello di creare un soldato che non dorma mai.

Lo studio della poiana non   è che la punta dell’iceberg di una ricerca più ampia per assicurarsi la padronanza, almeno parziale, dei meccanismi che regolano il sonno umano.

Lo scopo a breve termine è quello di elaborare dei metodi che consentano ad un combattente di rimanere operativo, senza dormire, per un periodo minimo di sette giorni ma con l’intenzione, più a lungo termine, di raddoppiare questo lasso di tempo pur conservando livelli elevati di performance fisica e mentale.

Fin qui, i mezzi a disposizione per produrre stati d’insonnia, erano sempre accompagnati da stati di deficit cognitivi e fisici (per esempio un ridotto stato di vigilanza).

E’ per questo che attualmente non si cerca più di stimolare lo stato di veglia ma di ridurre il bisogno fisico di sonno.

 

Furto del tempo

(l’autore “gioca” con il termine “vol”, Vol du temps, dato che in francese ha il doppio significato di volo e furto)

Come la storia ha ampiamente dimostrato, le innovazioni nate durante la guerra, vengono poi tendenzialmente trasposte in dimensioni sociali più ampie: e così il soldato senza sonno ci appare come il precursore del lavoratore e del consumatore senza sonno.

I prodotti “senza sonno”, promossi in modo massiccio e aggressivo dall’industria farmaceutica, sono presentati, all’inizio, come una semplice opzione di un modo di vivere prima che diventi, in una fase successiva, una necessità.

Stante la sua profonda inutilità e il suo carattere eminentemente passivo, il sonno, che ha il grave torto, oltretutto, di causare perdite incalcolabili in termini di produzione, di circolazione e di consumo, intralcerà sempre le esigenze di un mondo H24/7 in cui tutto funziona ventiquattro ore al giorno e sette giorni su sette.

Trascorrere dormendo una immensa parte della loro vita, fuori dal pantano dei bisogni fittizi, è uno dei peggiori affronti che gli esseri umani possano fare nei confronti del capitalismo contemporaneo.

Il sonno è una interruzione senza autorizzazione al furto di tempo che il capitalismo commette a nostro detrimento.

La maggior parte delle necessità apparentemente irriducibili della vita umana – la fame, la sete, il desiderio sessuale e, più recentemente, il bisogno di amicizia – sono state convertite in forme di necessità commerciali o finanziate.

Il sonno impone l’idea di un bisogno umano e di un intervallo di tempo che non possono essere colonizzati né sottoposti ad una massiccia operazione di profitto, ragione per la quale rappresenta un’anomalia ed un aspetto di crisi nel mondo odierno.

Malgrado tutti gli sforzi della ricerca scientifica in questo campo, il sonno rappresenta ancora, tutt’oggi, una frustrazione e uno sconcerto per le strategie miranti a sfruttarlo o a manipolarlo.

La realtà, sorprendente e impensabile, è che non se ne può trarre alcun valore.

Gli attacchi contro il sonno si sono intensificati durante il XX secolo.

L’ americano medio, adulto, dorme oggi circa sei ore e mezza per notte e ciò rappresenta un’erosione del tempo del sonno rilevante rispetto alla generazione precedente che dormiva, in media, circa otto ore e senza parlare poi dell’inizio del secolo scorso quando – può sembrare incredibile – la durata del sonno era di dieci ore.

Lo scandalo del sonno consiste nel fatto che porta nelle nostre vite le oscillazioni ritmiche della luce solare e del buio, dell’attività e del riposo, del lavoro e del recupero, che sono state sradicate o neutralizzate in molti ambiti.

Dalla metà del XVII secolo, il sonno non ha più occupato la posizione stabile che aveva nella visione aristotelica della vita e nel Rinascimento.

Si cominciava a coglierne l’incompatibilità con le nozioni moderne di produttività e di razionalità, e René Descartes, David Hume o John Locke non furono gli unici filosofi   a negarne la pertinenza riguardo i movimenti dello spirito o la ricerca della conoscenza.

Lo si svalorizzò a vantaggio di una preminenza data alla coscienza e alla volontà, nonché a concetti di utilità, di oggettività e di interesse personale come moventi per l’azione.

Secondo il Locke appariva come un’interruzione spiacevole ma inevitabile per il compimento delle priorità che Dio avrebbe assegnate all’uomo: mostrarsi pronti all’azione e razionali.

A metà del XIX secolo si cominciò a concepire la relazione simmetrica tra il sonno e la veglia secondo modelli gerarchici che rappresentavano il sonno come un’attività di genere inferiore e più primitiva: l’attività del cervello che si pensava essere superiore, durante il sonno, era inibita.

Arthur Schopenhauer fu uno dei rari pensatori che addirittura rovesciò questa tesi arrivando a suggerire che il vero nocciolo dell’esistenza umana potesse essere scoperto soltanto nell’attività del dormire. (1)

Dato che l’industrializzazione in Europa si era sviluppata anche grazie ai peggiori trattamenti inflitti ai lavoratori, i padroni delle fabbriche si sentirono autorizzati ad intendere che sarebbe stato più vantaggioso accordare agli operai dei tempi di riposo limitati.

Si voleva, come l’ha dimostrato Anson Robinbach nel suo studio sulla scienza della stanchezza (2), farne elementi produttivi più efficaci e durevoli.

Ancor più dal secondo decennio del XX secolo, con la caduta delle forme di capitalismo controllate o regolate negli Stati Uniti o in Europa, non esiste più alcuna necessità interna che il riposo e il recupero continuino ad essere visti come fattori di crescita e profitto economico.

Lasciare tempo al riposo e alla rigenerazione, oggi costa semplicemente troppo perché sia ancora strutturalmente possibile inserirlo nel capitalismo contemporaneo.

Nella loro analisi su quest’ultimo tema, Luc Boltanski e Eve Chiapello hanno dimostrato come un insieme di forze concorra ad “incensare” la figura di un individuo costantemente occupato, costantemente connesso, in continua interazione, comunicazione, reazione o transazione con un mezzo telematico purchessia.

Gli autori rilevano che nelle regioni più prospere del mondo questo fenomeno è andato di pari passo con la dissoluzione della maggioranza dei limiti che una volta separavano il tempo privato dal tempo professionale, il tempo del lavoro da quello del consumare.

Nel loro paradigma sulle connessioni si fanno gioco “dell’attività per l’attività”, fine a se stessa.

“ Fare qualcosa , muoversi, cambiare è oggi valorizzato rispetto alla stabilità, spesso considerata oramai come sinonimo di inazione (3).”

Questo modello di attività non appare come la semplice versione modificata di un paradigma precedente l’etica del lavoro, ma come un modello normativo completamente nuovo che, per sussistere, richiede tempi H24, 7 giorni su 7.

La gente, naturalmente, continua a dormire, e anche le megalopoli più tentacolari vivranno sempre intervalli notturni di quiete relativa.

Ma, oramai, è un fatto assodato che il sonno rappresenti un’esperienza sconnessa dai concetti di necessità e natura.

Viene invece concepito, alla stregua di molte altre cose, come una funzione variabile che va gestita e che non possiamo più solo definire in modo strumentale o fisiologico.

Recenti ricerche ci dicono che il numero di persone che si alzano di notte per controllare i loro messaggi telefonici o i loro dati in generale sta crescendo in modo esponenziale.

Esiste un’espressione anodina solo in apparenza ma in realtà molto diffusa, per descrivere lo stato di un dispositivo elettronico, come diremmo noi “in stand-by”: lo “sleep mode”.

Quest’idea di un apparecchio piazzato in stato di disponibilità a bassa intensità tende anch’esso a ridefinire il senso del sonno come un semplice stato di operatività o accessibilità differite o ridotte.

La logica on/off è superata: in definitiva nulla può più essere off.

Non esiste più uno stato effettivo di riposo.

Il sonno, come maggiore ostacolo – l’ultima di quelle barriere naturali di cui parlava Karl Marx nel Capitale – alla piena realizzazione del capitalismo H24 su 7, non si riesce ad eliminare.

Ma è possibile frantumarlo e saccheggiarlo.

Come dicevamo più sopra, metodi e moventi necessari per questa vasta operazione distruttiva, sono già in essere.

Gli spazi pubblici sono, oggi, interamente concepiti per dissuadere qualsivoglia velleità di dormirci, compreso – con crudeltà intrinseca – il design delle panchine pubbliche e altre superfici in verticale, destinate ad impedire che un corpo umano possa stendervisi.

La guerra al sonno è inseparabile dal processo di smantellamento delle protezioni sociali (che è causa di tanta rabbia in altre sfere).

Così come l’accesso universale all’acqua potabile è stato contrastato in tutto il mondo a causa di un inquinamento e una privatizzazione programmate per vendere l’acqua in bottiglia, così, similmente, esiste un fenomeno facilmente ravvisabile impegnato a “costruire scarsità”.

Tutti gli attacchi al sonno creano condizioni di insonnia diffusa che ci obbligano, in definitiva, a comprarlo (anche se paghiamo per uno stato chimicamente modificato che non è più che un’approssimazione del sonno vero).

Le statistiche sull’utilizzo esponenziale di sonniferi ci dicono che, nel 2010, preparati farmaceutici come Ambien e Lunesta sono stati prescritti a circa cinquanta milioni di Americani, e che qualche altro milione di preparati equivalenti è stato acquistato come prodotto da banco.

Ma sarebbe un errore credere che migliorare le condizioni di vita attuali potrebbe permetterci di dormire meglio e di godere di un sonno profondo e riposante.

Al punto in cui siamo, non è poi così certo che un mondo meno organizzato intorno ad un modello oppressivo, riuscirebbe ad eliminare l’insonnia.

L’insonnia nasce infatti in stretto collegamento con esperienze collettive che sono all’esterno e si coniuga con numerose altre forme di espropriazione e rovina sociale che accadono su scala mondiale.

Come mancanza individuale, l’insonnia, oggi, è in linea di continuità con un vissuto generale di “assenza di mondo”.

Un discreto numero di ipotesi fondamentali sulla coesione delle relazioni sociali si articola a questa questione del sonno, compresa l’idea di un rapporto di reciprocità tra vulnerabilità e fiducia, tra l’essere esposti e la cura.

Lo stato di veglia degli altri ha un’importanza cruciale: da questo dipende l’assenza di preoccupazioni che favorisce il sonno ristoratore e la possibilità di godere di un tempo liberato dalle paure, uno stato temporaneo di “oblio del male” (4).

Una delle molteplici ragioni per cui le culture umane hanno, da sempre, associato la morte al sonno, dipende dal fatto che entrambe confermano la continuità del mondo quando siamo assenti.

L’assenza temporanea del dormiente è quindi, in qualche modo, segnata da una specie di legame con l’avvenire, il futuro; con la possibilità di un “ricominciare” e quindi di una idea di libertà.

E’ durante quest’intervallo che sguardi su una vita non vissuta, una vita rimandata, possono fugacemente affiorare alla coscienza.

La speranza notturna che si possa entrare in uno stato di sonno profondo fino a perdervi conoscenza, rappresenta allo stesso tempo l’anticipazione di un risveglio che potrebbe comportare un imprevisto.

 

Sognare un diverso futuro

In Europa, dopo il 1815, durante parecchi decenni di contro-rivoluzione, di rovesciamenti e perdita della speranza, artisti e poeti intuirono che il sonno non rappresentava forzatamente una evasione o una fuga dalla storia.

Percy Bysse Shelley e Gustavo Courbet, per esempio, compresero che il sogno rappresentava un’altra forma di tempo storico; che il suo “essere dentro” e la passività apparenti, includono anche l’agitazione e l’inquietudine necessarie alla nascita di un futuro più giusto e di uguaglianza.

Oggi, XXI secolo, l’inquietudine del sonno è legata ad una relazione non felice con l’idea di futuro.

Presente da qualche parte sulla frontiera tra il sociale e il naturale, il sonno assicura la presenza nel mondo dei movimenti sinusoidali e ciclici, essenziali alla vita e incompatibili con il capitalismo.

Occorre fare il collegamento tra la sua persistenza anormale e la distruzione in corso delle condizioni stesse per la vita su questo pianeta.

Dato che il capitalismo è incapace di autolimitarsi, il concetto di salvaguardia o di conservazione rappresenta un’impossibilità sistemica.

In un tale contesto, la riabilitazione dell’inerzia del sonno sarebbe un ostacolo ai processi mortali di accumulo, di finanziamento e di spreco che hanno distrutto tutto ciò che nel passato veniva denominato bene comune.

In realtà, oggi, non esiste che un unico sogno, che supera tutti gli altri: quello di un mondo condiviso il cui destino non sia un destino fatale, un mondo senza miliardari, un mondo fuori dalla barbarie e dal post-umano e in cui la storia possa prendere un’altra piega, fuori dagli scenari catastrofici di incubi che si materializzano.

Possiamo fantasticare che, in qualsiasi luogo, in uno stato di coscienza qualunque, compreso quello della fantasia sognante o del “rève éveillé” , un futuro senza capitalismo inizi nei sogni del sonno.

Lo vivremmo come una interruzione radicale, come un rifiuto del peso implacabile del nostro presente globalizzato, come un sonno che, al livello più prosaico della nostra esperienza quotidiana, farebbe le veci di un ripasso generale per abbozzare ciò a cui rinnovamenti e ricominciamenti più significativi potrebbero somigliare.

Jonathan Crary

(1)       Arthur Shopenhauer, Il Mondo come volontà e rappresentazione.

(2)       Anson Robinbach, Il Motore umano. L’energia, la fatica e le origini della modernità – La Fabrique, Paris, 2004

(3)       Luc Boltanski e Eve Chiapello, Il nuovo spirito del capitalismo – Gallimard, Paris, 1999

Roland Barthes, Il Neutro. Corsi al Collegio di Francia, (1977-1978), Seuil-Imec, Paris, 2002