L’Unione Europea: un “impero senza imperatore”

Pubblichiamo il terzo intervento sull’Unione Europea a firma Raimondo Fassa. L’ex parlamentare europeo e sindaco di Varese terrà sotto l’egida dell’Associazione Culturale Varesepuò il prossimo 10 maggio alle ore 11 nel salone superiore del Caffè Zamberletti di Corso Matteotti un incontro aperto a tutti sul medesimo tema. – MdPR

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Molti temono ed altri desiderano che l’Unione Europea diventi una specie di “Superstato”.

Ciò che è certo, è che oggi uno Stato (in senso tecnico) l’Unione non lo è di sicuro. Anzi, ci troviamo di fronte a una struttura diversissima dallo ‘Stato’.

Prima di tutto, l’Unione Europea non è “monopolista della violenza”. Per attuare le proprie determinazioni, non dispone di strumenti coercitivi paragonabili all’intervento militare o poliziesco. Si serve o della moral suasion o dell’interesse che, nel complesso, le classi politiche degli Stati membri sino ad oggi hanno avuto ad osservare le uniche vere sanzioni di cui l’Unione disponga: quelle economiche.

In secondo luogo, la soggettività dell’Unione Europea sul piano internazionale “si affianca”, ma non si sostituisce, a quella dei singoli Stati.

Per contro, i suoi principali atti normativi sono immediatamente efficaci nell’ordinamento dei singoli Stati e le norme comunitarie prevalgono su quelle statuali in contraddizione con loro. All’interno del diritto statale, pertanto, entrano normative extrastatuali.

Inoltre, il potere dell’Unione Europea è sì eminentemente “territoriale”, ma con molti limiti. Uno dei casi più evidenti è l’euro, la “moneta unica europea” … che non tutti i Paesi UE adottano! Un altro caso è dato dall’esplicita previsione della cooperazione cosiddetta “rafforzata”: in virtù della quale, cioè, alcuni Paesi membri possono, se vogliono, procedere a forme di integrazione più stretta rispetto ad altri. L’Unione Europea, insomma, nel proprio territorio conosce come regola la possibilità di una “pluralità di regimi giuridici” che per lo Stato è invece un’eccezione.

Poi l’Unione Europea non ha (se non in rari casi) “funzionari” forniti di poteri verso l’esterno, a immediato contatto con i “cittadini” dell’Unione. Anzi, per principio di sussidiarietà, essa è obbligata a utilizzare, per l’attuazione di quanto ha disposto, le burocrazie dei Paesi membri.

Del resto, l’Unione Europea è, rispetto allo Stato, istituzionalmente assai meno “cauta” nei confronti delle “società intermedie”, dei “gruppi”, delle “gilde”, delle “corporazioni”, delle lobby, a cui espressamente si propone come “interfaccia”.

Infine, è transazionale. L’Unione Europea è una “comunità di Stati e di popoli”, ma non esiste  – o, quanto meno, non è generalmente riconosciuto –  un démos europeo.

Il “modello UE”  – per quanto attiene alla cosiddetta “forma di Stato” (uso ancora questo termine per comodità) –  è in realtà un incredibile mixtum: per certi versi è federale (moneta), per certi altri confederale (designazione della Commissione), per altri ancora intergovernativo (politica di difesa).

Non solo, ma le competenze degli organi comunitari non sono in alcun modo riconducibili alla tradizionale “divisione dei poteri”. Ci troviamo, invece, davanti a una “collaborazione funzionale” dei vari “poteri”. Il Consiglio non è più, come alle origini, una sorta di “Senato degli Stati”, ma è, piuttosto, un “Direttorio politico a composizione variabile”. Il Parlamento Europeo non è più “a poteri ridotti”, come già si è detto in questa Rivista (ma si vedano, fra l’altro, i lucidi articoli di Chiara Bussi e di Beda Romano sul Sole 24 Ore del 28 aprile scorso). Nonostante questo, le comunicazioni “interpretative” della Commissione, di fatto creando diritto, possono ancora far conoscere agli Stati ed agli operatori economici i loro diritti e i loro obblighi “comunitari”, in particolare al lume dei più recenti indirizzi giurisprudenziali della Corte di Giustizia.

Quest’ultima all’origine nacque per “controbilanciare”, in senso nazionalistico, la Commissione, e sino ad oggi ha invece lavorato per “potenziare” il diritto comunitario al massimo della sua forza espansiva, sovente al di là del tenore letterale degli stessi Trattati. Proprio ad opera della Corte sono nati concetti che farebbero inorridire qualsiasi giurista nazionale: quelli di Unione Europea come “comunità di diritto”, di “effetto diretto”, primato, autonomia, specificità ed “effetto utile” del diritto comunitario. Un diritto significativamente detto “elastico”, contrassegnato dal suo carattere “teleologico” (al pari dell’intera Unione), dalle competenze “implicite” degli organi comunitari, dalla “progressività costante” e dalla “evoluzione continua”.

Peraltro, persino gli “atti normativi” comunitari  – segnatamente, regolamenti e direttive –  soggiacciono all’obbligo, a differenza delle “leggi” statali, di essere motivati, pena l’annullamento per violazione delle forme sostanziali. L’obbligo di motivazione comporta che l’atto contenga la specificazione degli elementi di fatto e di diritto su cui la normazione si fonda. Ciò ad un duplice scopo: far conoscere agli Stati membri ed ai privati come sia stato applicato il Trattato e permettere alla Corte di esercitare un adeguato controllo giurisdizionale.

L’unica  – ma di sicuro non meno importante –  nota caratterizzante che l’Unione Europea ha in comune con lo Stato è che essa disciplina l’economia. Ma, in questo caso, in un rapporto di proporzionalità inversa con lo Stato stesso: a mano a mano che quest’ultimo si rivela inidoneo a tale compito, l’UE ne “riempie il vuoto” … liberando il mercato!

Tutto ciò, il più delle volte, contro o indipendentemente dalla volontà degli Stati dell’Unione, delle loro classi politiche nazionali e, ciò che più conta, delle loro opinioni pubbliche.

La conseguenza più rilevante di tale fenomeno è consistita nella perdita di potere (e di legittimazione) da parte degli Stati, senza che questo potere, questa legittimazione, siano stati completamente acquisiti, almeno per il momento, dall’Unione Europea.

Ma, se non è uno Stato, allora che cos’è l’UE?

L’UE concretizza un modello politico assolutamente nuovo dal punto di vista di noi contemporanei, ma in realtà assai antico: noi lo consideriamo atipico ed anomalo solamente perché, del tutto acriticamente, consideriamo tipico e normale quello dello Stato.

Abbiamo appena visto che, sul piano strutturale, l’UE non è uno Stato, e perciò sembrerebbe più debole di quest’ultimo.

Sul piano funzionale  – cioè da come in concreto si comporta –  possiamo invece dire che l’UE è un ‘Impero’, e quindi si rivela incontestabilmente più forte.

Certo, un tipo di Impero assai singolare, in quanto … privo di Imperatore!

Del perché non ci sia un Imperatore, dirò un’altra volta. Chiarirò qui di seguito solo perché l’UE possa essere detta ‘Impero’.

Quando, nel parlare comune, adoperiamo la parola ‘Impero’, normalmente pensiamo ad uno “Stato “più potente” o “più grande”.

Quelli di ‘Stato’ e di ‘Impero’ sono in realtà concetti disomogenei. Certo, entrambi sono ‘formazioni politiche’. Ma di genere affatto diverso. Li differenziano infatti più aspetti fondamentali: basterà averli illustrati, perché il lettore possa comprendere da solo come l’UE, così lontana dal modello statale, sia invece per larga parte riconducibile a quello imperiale.

1) ‘Stato’ (lo dice la parola stessa…) designa una formazione politica “stabile” (e, alla lunga, “statica”). Lo ‘Stato’ “oscilla”, per dir così, continuamente a motivo di circostanze da esso non dipendenti, ed è compito della sua classe politica, tramite l’azione di “governo” (vocabolo non a caso originariamente tratto dal gergo marinaresco …), mantenerlo nei suoi “giusti” limiti.

L’‘Impero’ è, al contrario, in perenne espansione. Esso è, difatti, frutto di un’azione di “comando unidirezionale”: il latino imperium, che originariamente designava l’azione del “capo vittorioso”, l’imperator. Tendenzialmente, l’‘Impero’ non conosce altro limite che quello derivante dalla sua intrinseca forza espansiva, legata a quella della sua ‘formazione politica egemone’. Venendo meno la quale, esso  – come una stella –  decade e muore.

2) Una seconda differenza fra l’Impero e lo Stato riguarda, invece, il rapporto con l’interno. Lo ‘Stato’ ha un solo “popolo”, individuato secondo criteri di varia natura (giuridici, politici, etnici, storici …). L’‘Impero’ è invece costituito da una pluralità di popoli. L’‘Impero’, come s’è detto, è imperniato su una ‘formazione politica egemone’, la quale esprime una classe dirigente e una cultura dominanti. Ma i vari popoli possono scegliere se aderirvi o meno. Alla classe dirigente imperiale, interessa che paghino i tributi (di regola tanto più blandi quanto più estesi) e che non si ribellino. Non solo, ma la sua classe dirigente rimane “aperta” anche a quei soggetti individuali e collettivi che, originariamente estranei alla ‘formazione politica egemone’, dimostrino di essere funzionali alle sue logiche.

3) Sempre dal punto di vista delle relazioni interne, lo ‘Stato’ tende ad uniformare la condizione giuridica dei soggetti, pubblici o privati, in esso ricompresi. In particolare, o si è suoi cittadini, o non lo si è. E le differenze che possono intercorrere fra loro non ne intaccano la fondamentale uguaglianza di fronte allo ‘Stato’.

L’‘Impero’, invece, non segue questa logica binaria. Di esso fanno parte, e in misura diversa, i membri non solo della ‘formazione politica egemone’, ma anche soggetti appartenenti a formazioni politiche differenti: Stati formalmente sovrani, protettorati, satelliti, clienti, imprese, associazioni, singoli componenti di classi dirigenti di altri Paesi. Lo ‘Stato’ ragiona in termini di “bianco e nero”. L’‘Impero’ conosce invece infinite sfumature di grigio.

4) Lo ‘Stato’, per individuare la sua classe politica e conseguentemente legittimarne le decisioni, fa di solito ricorso, almeno oggi, a procedure formalmente democratiche: i meccanismi cosiddetti “elettivo-rappresentativi”. L’‘Impero’, invece, è per definizione “non democratico”. Può servirsi, certo, della democrazia formale di alcuni suoi componenti  – segnatamente, degli Stati –  per legittimare sue decisioni. Del pari  – come avviene nel caso dell’Unione Europea o del Fondo Monetario Internazionale –  gli uomini di governo degli Stati si trincerano dietro decisioni imputabili all’‘Impero’ (ma in realtà loro) per cercare di attutirne le conseguenze sul piano elettorale.

5) Quasi a compensazione della sua scarsa democraticità, l’‘Impero’ ha la capacità di organizzare più risorse. Lo ‘Stato’, infatti, può far vivere di “rendita politica” solo i componenti della sua classe politico-amministrativa, a spese di quei suoi cittadini che non ne fanno parte. Al contrario l’‘Impero’ ha come scopo fondamentale quello di massimizzare la sua capacità di distribuire parte della rendita politica anche a quei componenti della ‘formazione politica egemone’ (ed a quei membri dei territori satelliti che siano strumentali ai suoi interessi) che non rivestono alcuna funzione pubblica. Ciò, naturalmente, è possibile solo attraverso un sistema di sfruttamento assai generalizzato, e perciò spesso poco percettibile (almeno in prima battuta)  dall’interno dell’‘Impero’.

6) Nell’‘Impero’ esiste un’Autorità  – quella imperiale, appunto –  “sovraordinata” a quella delle entità politiche in esso ricomprese. Nel sistema statale, viceversa, gli Stati sono su un piano di assoluta parità.

7) L’ultima differenza fra ‘Impero’ e ‘Stato’ si collega al rapporto con l’esterno.

Tanto ben definiti (o, quanto meno, definibili) sono i confini dello ‘Stato’, quanto fluidi, oscillanti ed incerti sono quelli dell’‘Impero’.

Da tale punto di vista, lo ‘Stato’ implica una logica “plurale”. L’‘Impero’ la esclude.

In altre parole, di Stati in linea di principio ce ne sono molti, capaci di convivere, almeno d’ordinario, pacificamente, e non ci sono “spazi vuoti” fra di loro. Di Imperi, invece, ce n’è uno solo. E, quando ve n’è più d’uno, possono accadere solo due cose: o gli Imperi si ignorano (ed interpongono fra loro una sorta di “terra di nessuno”), oppure si combattono finché uno dei due non si sia estinto.

In linea di principio, insomma, nulla può essere estraneo all’‘Impero’. Ciò che gli si sottrae, pertanto, è definibile solo negativamente come “non ‘Impero’”. E, quindi, come uno “spazio vuoto”. Da ignorare o da assimilare.

Eppure, non si può negare che esso esista: il realismo è la dote primaria delle classi politiche autenticamente “imperiali”.

Raimondo Fassa