Energia e favole

Annunciati ennesimi sviluppi promettenti per lo sfruttamento delle fonti alternative d’energia. Un avvenire radioso che di fatto non è mai a portata di mano.

Al tempo dell’Unione Sovietica circolava una battuta ironica. Che differenza c’è tra le favole in occidente e in Russia? In occidente cominciano con “C’era un volta”, in Russia con “Un giorno ci sarà”.

Potremmo attualizzarla facilmente, adattandola ai miracoli annunciati da certi ecologisti, e anche da molti ecofurbi, che cavalcano la tigre verde in caccia di voti alle elezioni o di proventi per le loro imprese.

Ecco, per esempio, come un consorzio di ricerca creato dalla Shell e altre aziende ha annunciato il 28 aprile un traguardo raggiunto grazie al finanziamento dei contribuenti europei: “Con la prima produzione in assoluto di carburante ‘solare’ per aerei, il progetto Solar-Jet con fondi dell’Unione Europea ha dato una dimostrazione dell’intero ciclo di produzione di cherosene rinnovabile ottenuto direttamente da luce del sole, acqua e biossido di carbonio, rivoluzionando in ciò potenzialmente il futuro dell’aviazione. Questo processo ha inoltre la potenzialità di produrre in modo più sostenibile qualunque altro tipo di carburante per i trasporti, come gasolio, benzina o idrogeno puro. […] Con questa dimostrazione pratica del cherosene ‘solare’, la prima in assoluto, il progetto Solar-Jet ha compiuto un passo considerevole verso carburanti davvero sostenibili provenienti in futuro da materie prime virtualmente illimitate”.

Al posto di “Un giorno ci sarà”, qui leggiamo “potenzialmente”, “potenzialità”, “futuro” (due volte) e un primo “passo” verso il sol dell’avvenire.

Come fa notare un ricercatore della Shell, il processo consiste di vari stadi, ciascuno dei quali, separatamente, era già stato attuato anche in scale maggiori: la novità annunciata stavolta è quella d’averli combinati in una sequenza compiuta.

In poche parole, biossido di carbonio e vapor d’acqua attraversano un solido poroso; ma questo è solo il secondo stadio.

Infatti il solido deve esser prima attivato. Si tratta di ceria, cioè biossido di cerio, che a duemila gradi e a bassa pressione libera una parte dell’ossigeno che contiene.

Si trasforma così in un altro ossido, che contiene solo tre atomi d’ossigeno ogni due di cerio (non più dunque in rapporto due a uno).

Invece del forte riscaldamento prodotto consumando energia d’origine convenzionale, la reazione può essere indotta anche dai raggi solari opportunamente concentrati.

Il solido, a contatto col vapore e il biossido di carbonio, riacquista poi a spese loro l’ossigeno che aveva perso, trasformandoli in idrogeno e monossido di carbonio: ecco il secondo stadio.

Questi gas, che già sarebbero combustibili, possono esser convertiti (terzo stadio) in idrocarburi (o altre sostanze utili) col processo Fischer-Tropsch, sviluppato dai tedeschi fra le due guerre per ottener benzina dal carbone, abbondante a casa loro, in mancanza del petrolio che non riuscivano più a importare.

Più di recente, il processo è stato adottato per motivi analoghi dal Sudafrica ai tempi delle sanzioni per l’apartheid.

Durante le crisi petrolifere ha suscitato nuova attenzione anche altrove.

Non crediate che noi italiani stiamo a guardare: il nostro posticino al sole ce lo stiamo conquistando. Un paio di settimane prima dell’impianto costruito dai colossi del Solar-Jet, al centro di ricerche che l’ENEA possiede circa venticinque chilometri a nord-ovest di Roma, è entrato in funzione il primo impianto sperimentale per la conversione del biossido di carbonio in metano, tramite reazione con idrogeno.

E quest’ultimo come viene prodotto? Per elettròlisi: l’acqua viene scissa negli elementi che la compongono: ossigeno e appunto idrogeno.

Ci vuole parecchia energia elettrica, ma questo — si dice — non è un problema: abbiamo il sole e il vento, e anzi questa trasformazione chimica può rappresentare una via per immagazzinare l’energia prodotta da fonti rinnovabili.

Già, perché il loro problema è che sono abbondanti, molto abbondanti, ma l’energia ce la forniscono col contagocce: lentamente, troppo lentamente per i bisogni.

Un esempio semplice: finisce una partita di calcio amatoriale e le squadre vanno sotto la doccia. Allo scopo, negli spogliatoi ci sono sei cabine: in quattro turni, tutti si laveranno. Un momento… Quell’impianto è, come si dice, sostenibile: l’acqua è riscaldata da pannelli solari. Al primo turno va bene. Al secondo forse: dipende dalla capacità degli scaldabagni e da quanto intensamente e a lungo il sole ha elargito quel suo beneficio. Nella cattiva stagione, proprio quando l’acqua la vorremmo ben calda, il sole agisce, se siamo fortunati, così così. Guai agli ultimi turni, dunque, che rimpiangeranno le caldaie tradizionali a gas, capaci di fornire davvero l’acqua calda man mano che serve, anche in modo continuo.

Per far capire meglio la natura del problema energetico, bisognerebbe che ci abituassimo a ragionare in termini non tanto d’energia, quanto di potenza, che è l’energia impiegata in un certo tempo, per esempio in un secondo.

Purtroppo perfino un premio Nobel nostrano parla in pubblico d’energia e ne esprime la quantità in multipli del watt, che invece è l’unità di misura della potenza.

Evviva quindi l’ENEA e il Solar-Jet, che riescono a immagazzinare l’energia solare o eolica sotto forma di combustibili?

Diciamo che la ricerca in quel settore, se ha un costo ragionevole, può essere opportuna, come ho scritto qualche anno fa alla voce “fonte energetica” nel mio dizionarietto longanesiano “Fischi per fiaschi nell’italiano scientifico”.

Cosa ci riserva l’avvenire non possiamo saperlo, e quindi è saggio premunirsi, cercando alternative alle fonti attuali.

Ma finché l’energia elettronucleare potrà alimentare gli elettrolizzatori e i reattori all’ossido di cerio a un costo molto inferiore rispetto al sole e al vento, queste novità così strombazzate resteranno assolutamente prive d’interesse pratico.

Lo si capisce, del resto, anche leggendo con un po’ d’attenzione i comunicati dell’ENEA e del Solar-Jet: il vantaggio segnalato con più insistenza sta — udite, udite! — nel levar di mezzo un po’ del famigerato biossido di carbonio.

Ti pareva! Con la solita storia del contrasto ai cambiamenti climatici si mette tutto a posto.

Peccato che, a differenza di quanto ci viene propalato di continuo dai media, la scienza non sia affatto unanime circa gli effetti umani sul clima planetario.

Anche sotto quest’aspetto, “un giorno ci sarà” potrebbe essere dunque una favola da cui non lasciarsi condizionare più che tanto.

Gianni Fochi*

*) http://homepage.sns.it/fochi