Col cavallo nel Bel Paese e altrove

Una ricostruzione del modo di viaggiare nel passato sulla rete delle stazioni di posta dell’Ottocento, con una breve analisi delle mutate motivazioni che spingono al viaggio nel corso del Novecento e la riscoperta attuale del turismo equestre come riconquista del territorio e delle proprie radici culturali.

 

Il breve saggio a firma Carlo Severgnini è stato pubblicato nel 2008

nella raccolta ‘Viaggiar lento’ curata per le Edizioni Hoepli da Roberto Lavarini

 

Così dunque di posta in posta, con una continua palpitazione di cuore pel gran piacere di correre e per la novità degli oggetti, arrivai finalmente a Torino…

Era una giornata stupenda …

Era come fuor di me stesso.”

 

Questo scriveva nel suo diario Vittorio Alfieri, quando nel luglio del 1758 si recava per la prima volta dalla natia Asti alla Capitale con la carrozza della madre.

 

 

Ancora per oltre un secolo, fino all’avvento delle ferrovie, la velocità massima degli spostamenti dell’uomo era determinata dal cavallo e dall’efficienza del servizio di posta.

L’affidabilità della rete dei trasporti e delle comunicazioni è sempre stata un elemento determinante nel controllo e nella gestione degli stati, anche i più antichi.

Il primo sistema di posta di cui si ha notizia tramite le descrizioni di Erodoto è di Ciro II, nella Persia del VI sec. a.C.

A questo si ispirò Ottaviano Augusto nell’istituire nel 27 a.C. il “Cursus Publicus” che per quattro secoli consentì l’amministrazione del più vasto impero dell’antichità, con un’efficienza e rapidità raramente raggiunte in seguito.

Dopo il lungo periodo di decadenza medioevale, la riorganizzazione degli stati centrali dal XV secolo vide lentamente anche la ricostituzione della rete di comunicazioni lungo le vie romane, mai in realtà completamente abbandonate, e lungo le direttive determinate dai traffici commerciali delle nuove città europee.

In particolare gli Asburgo, per strutturare un sistema di collegamenti tra le principali città del loro impero che nel rinascimento toccò la massima estensione, si affidarono alla famiglia bergamasca dei Tasso.

Questa famiglia, originaria del paese di Cornello in Val Brembana, diede i natali al poeta Torquato Tasso, ma con la propria attività commerciale lasciò nella società e nella cultura europea un segno forse ancor più incisivo e duraturo, ancorché meno noto.

I Tasso, già dalla fine del XIII secolo avevano organizzato il servizio di corriere nelle valli bergamasche e avevano dato prova di grande efficienza e capacità negli Stati di Venezia e della Chiesa, assumendone, sul finire del Quattrocento, la gestione dell’intero sistema di posta.

Gli Asburgo affidarono loro dapprima la regione del Tirolo e quindi l’appalto per tutto l’impero.

Il loro servizio, nato con finalità prevalentemente pubbliche, venne utilizzato anche dai privati, almeno da quelli che potevano permetterselo.

Da qui il successo e l’importanza dell’attività dei Tasso che in breve si sviluppò in una rete capillare che metteva in collegamento centinaia di città in tutto il continente. Si può considerare che l’attività della famiglia dei Tasso sia stata la prima multinazionale della storia: un impero finanziario che portò nel 1512 l’imperatore Massimiliano a concedere il titolo di principe con la traduzione del nome in Thurn und Taxis, lasciando a noi la non piacevole eredità delle “tasse” che da loro prendono nome.

 

Il sistema di collegamento si basava su una rete di stazioni, costituite da un ricovero per i cavalli e una struttura di accoglienza per il ristoro e il pernottamento dei viaggiatori.

Ancor oggi nelle licenze di qualche vecchio locale – bar, ristorante o albergo di campagna –   si può trovare la dizione di “osteria con stallazzo” a conferma della sua antica attività come stazione di posta.

Qui l’oste manteneva una serie di cavalli a disposizione dei clienti: all’arrivo di una carrozza si sostituivano i cavalli stanchi con quelli freschi che proseguivano il viaggio portando la carrozza fino alla stazione successiva, dove, dopo un congruo riposo, con un altro cliente che faceva il percorso inverso, rientravano alla base.

È divertente chiosare fra le righe della letteratura, da Cervantes in poi, le furbizie degli osti che rifilavano a passanti sconosciuti o che volevano pagare meno, gli animali di minor qualità se non in peggiori condizioni fisiche.

 

Il sistema di posta consentiva trasporti con una rapidità molto maggiore di quella che forse oggi riusciamo a immaginare.

A metà dell’ottocento bastavano quattro giorni e mezzo per andare da Milano a Vienna, ma i viaggiatori dovevano essere pronti a viaggiare giorno e notte, affrontando lunghe tratte stipati e sballottati chiusi in carrozze non certo confortevoli, calde d’estate e gelide d’inverno, con un poco di respiro durante gli intervalli  per il tempo necessario al cambio dei cavalli e a notte inoltrata – ma non sempre – delle brevi soste per un riposo di solo qualche ora.

 

Nel 1830 tra Milano e Vienna la tabella di marcia, per un viaggio di complessivi quattro giorni e mezzo, era la seguente:

 

partenza da Milano ogni sabato alle ore cinque e mezza della sera;

 

domenica colazione a Brescia

pranzo a Verona verso le ore13

cena a Vicenza alle 19.30

arrivo a Treviso a mezzanotte. Qui si aggregavano i viaggiatori provenienti da Venezia

 

lunedì                 colazione a Pordenone

pranzo a Udine alle 13. Qui si staccavano i viaggiatori diretti a Trieste

visione dei passaporti a Pontebba

arrivo a Tarvisio verso la mezzanotte. Stazione di notte e partenza dopo la colazione alle 5 del mattino

 

martedì     pranzo a Klagenfurt

cena a Friesach

 

mercoledì  colazione a Knittefeld

pranzo a Bruk

cena a Schottwien

 

arrivo a Vienna il giovedì alle sei del mattino

 

Lungo il percorso si sostava in sessantatre stazioni di posta per il cambio dei cavalli e il costo complessivo del viaggio era di lire austriache 143,10, oltre a lire austriache 26,65 per i pranzi e i pernottamenti.

E questo ci dà la proporzione di quanto costava viaggiare. (NOTA 1)

 

Qualche altro dato sempre riferito al periodo del 1830:

Milano – Venezia, partenze fisse il martedì e il giovedì pomeriggio alle 5,30 e arrivo a Venezia il giovedì e il sabato alle 11 del mattino. Durata del viaggio 1 giorno e 17 ore (com’erano precisi questi austriaci!) per un prezzo di 48 lire oltre a 9 lire per i pranzi. Qui si prevedeva un unico pernottamento a Padova la notte prima dell’arrivo.

Dal che si deduce che si viaggiava ininterrottamente almeno per ventiquattro ore.

 

E ancora:

Milano – Trieste, due giorni quattro ore e tre quarti

Milano – Sesto Calende partenze tutti i giorni alle 6 del mattino e arrivo alle 11.30

Milano – Como partenza tutti i giorni alle 3 del mattino e arrivo alle 7.30

Milano – Ginevra partenza al martedì a mezzogiorno e arrivo venerdì alle 9 del mattino

Milano – Genova un giorno solo di viaggio, toccando Pavia, Voghera, Tortona e Novi.

 

Interessante è vedere l’itinerario da Milano a Roma che richiedeva ben sette giorni di viaggio.

Mancando completamente ogni via di attraversamento della dorsale appenninica, che sarà aperta solamente alla metà del novecento con l’inaugurazione dell’Autostrada del Sole, il percorso doveva allungarsi decisamente per seguire le zone più pianeggianti:

 

 

Milano

Lodi

Casale

Piacenza

Fiorenzuola

Borgo San Donnino, ora Fidenza

Parma

Reggio

Modena

Bologna

Ferrara

Imola

Faenza

Forlì

Cesena

Rimini

Pesaro

Fano

Sinigaglia

Ancona

Loreto

Macerata

Tolentino

Foligno

Spoleto

Terni

Narni

Civita Castellana

Nepi

Monterosi

Roma

 

 

Tutto era previsto e regolamentato nei dettagli, un po’ come accade anche oggi con le restrizioni sempre più severe dettate dalla paura per il terrorismo.

Il bagaglio doveva essere correttamente chiuso e sigillato, con ben chiaro il nome del proprietario, il suo indirizzo, la data e l’itinerario del viaggio, la descrizione del contenuto e il valore dichiarato (fondamentale per ottenere il risarcimento dall’amministrazione in caso di danneggiamento o smarrimento).

I colli oltre un certo peso erano accettati solo se vi era lo spazio disponibile e comunque era vietato trasportare polvere da sparo e olio vetriolo come qualunque altro materiale infiammabile o pericoloso.

La multa in caso di mancata osservanza di tali norme era del quadruplo del biglietto, oltre logicamente al rimborso di eventuali danni cagionati.

Il regolamento prevedeva anche una “dichiarazione valutaria” che tendeva più a definire il valore del trasporto, e quindi dell’eventuale danno da risarcire dall’Amministrazione, che a limitare e controllare la circolazione dei valori come accade ai nostri giorni.

Ci si doveva recare in stazione qualche giorno prima per fare la prenotazione, versando in piccolo acconto che si sarebbe perso se non ci si presentava per tempo alla partenza.

Ciascuno aveva un limite di cinquanta (50) libbre viennesi (circa sedici, 16, chilogrammi) di bagaglio libero al seguito.

Oltre questo peso si pagava un extra, e si poteva tenere con sé solo una valigia o pacchetti di poco volume.

Erano anche previsti sconti significativi per i posti rimasti liberi alla partenza.

Un posto libero tre ore prima della partenza poteva costare meno di un quinto del prezzo pieno.

Last Minute ante litteram, nulla di nuovo sotto il sole.

 

Malgrado i costi significativi, questi descritti erano i viaggi popolari ed economici, pur nell’ambito della classe agiata che poteva permetterseli.

Chi invece si concedeva il grande lusso di viaggiare per proprio conto, poteva avvalersi della medesima struttura delle stazioni di posta, decidendo i ritmi e i tempi secondo il proprio comodo, ma con costi ben diversi calcolati e regolati dalla pignola amministrazione II. RR. (Imperial Regia Austro-Ungarica), con il prezzo differenziato per tre classi di qualità, per ciascuna coppia di cavalli, per ogni percorso di posta, oltre alla mancia dovuta al postiglione, allo stalliere e eventualmente al nolo del “legno”, ossia della carrozza, se il signore non disponeva di una propria.

 

Sia chi si doveva adattare ai ritmi e ai tempi delle pubbliche diligenze, sia chi viaggiava per proprio conto in modo più rilassato e comodo, attraversava il territorio col passo del cavallo, prevalentemente al trotto e qualche tratto al galoppo, avendo comunque il tempo di osservare, vedendo scorrere davanti ai propri occhi la campagna, il mutare del profilo dei colli e dei monti, le diverse coltivazioni: i risi del vercellese e del novarese, il grano del milanese e della bergamasca, la vite del bresciano e del veronese, i boschi del trentino e così via.

Unico elemento unificante i filari di gelsi legati all’allevamento del baco e alle filature della seta diffusi su tutta la regione padana.

Per non parlare dell’architettura, forse l’elemento del paesaggio che più colpisce un viaggiatore.

Dalla metropoli milanese bastava attraversare l’Adda per cominciare a incontrare a Bergamo qualche leone veneziano che subito dava la sensazione di essere in un’altrove.

Poi la sterminata campagna piatta fino ai colli della Franciacorta e del veronese, dove il marmo rosso dei palazzi segnava un altro confine ideale prima di scorgere le sontuose bianche ville venete del trevigiano e affrontare la salita verso le Alpi friulane ed entrare definitivamente in territorio austriaco.

E anche le soste, per brevi che fossero, pure sottolineavano il mutare del territorio: l’abbigliamento delle persone, i dialetti, gli usi; tutto poco alla volta, ma con forte caratterizzazione, segnalava che si stava attraversando un paese diverso dal proprio, stimolando i confronti, mettendo a fuoco le nuove realtà, scoprendo il meglio degli altri e apprezzando il meglio del proprio.

 

Alla metà dell’Ottocento l’invenzione del motore a vapore e lo sviluppo delle ferrovie cambiarono in breve i modi e i tempi del viaggio.

Pochi decenni dopo, la diffusione dell’auto incrementò ulteriormente il trasporto privato, fino all’esplosione delle utilitarie che dalla metà del Novecento ha messo a disposizione di quasi tutte le tasche un sistema economico e rapido di trasporto, sia di cose che di persone.

La facilità ed economicità dei trasferimenti ha spinto un numero sempre maggiore di persone a muoversi anche solo per puro diletto.

Inizialmente la breve gita domenicale fuori porta delle famiglie cittadine, poi via via viaggi sempre più lunghi e impegnativi come le epiche e non infrequenti trasferte –

impensabili in epoche precedenti – di giovani degli anni Sessanta e Settanta che con solo qualche soldo per la sopravvivenza, stipati in piccole utilitarie attraversavano l’Europa alla scoperta e conquista del continente, dalla Sicilia a Capo Nord, dalla costa Atlantica alla Cortina di Ferro.

Nasce poco alla volta il turismo di massa e quello che era il Grand Tour, componente essenziale della formazione culturale di ogni giovin signore della nobiltà europea del XVIII e XIX secolo, diventa patrimonio di tutti.

 

Nel 1894 veniva fondato a Milano il Touring Club Italiano che si poneva tra le sue tante finalità istituzionali anche l’obbiettivo di promuovere il turismo per far conoscere l’Italia agli italiani, dando in questo modo il proprio contributo alla creazione della nuova nazione appena unita sotto un’unica bandiera.

“Viaggiare per conoscere, conoscere per capire”, questo era uno dei motti del Touring, ma molto è cambiato nel corso di poco più di un secolo.

 

Con una mobilità agevole, sicura ed economica si è raggiunto l’obbiettivo di far viaggiare tutti, ma si è forse perso di vista il motivo del viaggio.

Il viaggio come anelito e strumento di conoscenza si è andato trasformando in ansia di imitazione sociale.

Il viaggio di gruppo diventa una grande scampagnata, non più fuori porta, ma in luoghi lontani, dal nome esotico, che però rimangono semplici nomi, fugacemente sfiorati, senza una vera identità.

E spesso anche senza vere emozioni.

 

Oggi il trasporto aereo e la diffusione dei viaggi a basso prezzo consentono a chiunque di salire sulla scaletta di un aereo a Malpensa in una uggiosa giornata umida e fredda e in poche ore, dopo uno spuntino, un pisolino e, se il viaggio è un poco più lungo, dopo un film, è possibile scendere sotto un sole tropicale, lungo una bianca spiaggia contornata di palme.

Il cambiamento è troppo rapido.

Lo shock troppo forte.

O almeno non siamo mentalmente preparati ad affrontarlo.

Il breve tempo che intercorre tra il nostro quotidiano e il nuovo che stiamo per visitare non ci concede il tempo per “uscire dal nostro mondo” e renderci conto poco alla volta che stiamo entrando “nell’altro”.

Come detto prima, il tempo della carrozza che ci accompagnava da Milano a Vienna lasciava percepire il lento mutare del territorio, delle persone, dei dialetti.

Si poteva avere la palpabile sensazione dell’allontanamento dal nostro luogo e dell’entrata in un’altra dimensione; nuova e da scoprire.

La curiosità veniva stimolata da ogni dettaglio “diverso” che potevamo incontrare. La voglia di conoscere e scoprire era frenata solo dalla fatica del viaggio.

E le soste obbligate per riprendersi da queste fatiche diventavano nuovo momento di approfondimento per usi, costumi e caratteristiche dei luoghi che si attraversavano.

Oggi, l’essere proiettati d’improvviso in un ambiente lontano migliaia di chilometri, senza riuscire a percepire il senso di uscita dal nostro mondo e di entrata nell’altro, induce a porci nei confronti di ciò che accade intorno a noi come fossimo di fronte a un telefilm, con la stessa passività – spesso distratta – di uno spettatore che assiste, senza contribuire, allo svolgersi dei fatti davanti ai suoi occhi.

Lo stimolo alla curiosità e l’ansia della scoperta e della conoscenza svaniscono, soprattutto se il viaggio è stato descritto nei minimi dettagli da guide e programmi che ci anticipano e garantiscono stupori, meraviglie e comodità ad ogni istante.

Non cerchiamo più.

Sappiamo, esigiamo che quella sorpresa annunciata debba avvenire.

Ne abbiamo diritto.

E se non accade ci sentiamo defraudati e ci lamentiamo con l’agenzia turistica che consideriamo inefficiente e disattenta.

 

Dopo un’ubriacatura di destinazioni lontane ed esotiche ad ogni costo – finalizzate spesso solo ad aggiungere un nome alla lista dei paesi visitati – e oggi anche in parte complice il timore verso il terrorismo internazionale, comincia ad affacciarsi una fascia di consumatori in cerca di un turismo più personale, ragionato e meno standardizzato.

Sono soggetti più attenti al dettaglio sia dei servizi offerti – alberghi, ristoranti, mostre e musei – sia soprattutto dei luoghi oggetto di visita.

In Italia si sono andati riscoprendo i centri d’arte minori, minori solo per notorietà, non certo per importanza.

L’Umbria, una regione da sempre molto amata dal turismo più attento, in passato si identificava solo con Assisi e Perugia.

Oggi Spoleto è conosciuto nel mondo intero grazie al Festival dei Due Mondi e altri centri, un tempo totalmente sconosciuti come Spello, Bevagna e Montefalco, sono divenuti meta costante e obbligata per chiunque visiti queste zone.

 

Il maggior interesse di un numero sempre crescente di turisti verso destinazioni meno scontate ha portato anche alla destinazione di maggiori risorse economiche, sia pubbliche che private, per il recupero di emergenze artistiche e ambientali a volte straordinarie, ma completamente dimenticate solo perché lontane dai normali percorsi di visita.

Grande esempio di un’Italia che funziona, con discrezione, intelligenza e lontano dai riflettori, sono tre strutture religiose: Santa Caterina del Sasso sul Lago Maggiore, San Galgano poco sotto Siena e S.Antimo nei pressi di Montalcino.

Tutti abbandonati tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, in situazione di grave precarietà, ormai aggrediti dagli agenti atmosferici, erano raggiungibili solo sfidando foreste di ortiche e di rovi, o come a S.Antimo sguazzando nel fango tra galline e maiali di una fattoria che si era istallata negli ambienti del convento.

Oggi dopo un attento recupero sono stati restituiti in parte alla loro funzione originaria ma soprattutto alla fruizione del visitatore, che con rispetto e discrezione può rivivere la magia delle antiche atmosfere silenti e profonde di ambienti religiosi, in un contesto naturale incontaminato di straordinaria bellezza.

 

E dopo i luoghi dell’arte e dello spirito si sta ora affermando in modo sempre crescente una richiesta di turismo ambientale, alla ricerca di territori il più possibile incontaminati, nei quali ritrovare modi e ritmi di vita che non sono più della nostra civiltà cittadina.

Il nostro è un grande paese che, in parte per la sua conformazione territoriale e in parte per la storia e le abitudini degli italiani, ha delle zone ad altissima densità abitativa come le coste e le pianure o attorno alle grandi città (la Lombardia è, con l’Olanda e alcune città di nuovo sviluppo in paesi emergenti, tra le zone più intensamente popolate al mondo).

In altre zone, che costituiscono la maggioranza del territorio, l’Italia è scarsamente popolata, anzi quasi disabitata, con alcune sacche intatte di straordinaria conservazione dell’ambiente e della natura.

Qui si trovano comunità molto piccole, al massimo qualche centinaio di abitanti che spesso stentano a sopravvivere.

Abitanti che restano legati a questi luoghi solo per ragioni di nascita o purtroppo spesso anche per inesistenza di alternative possibili.

Nel corso del XX secolo questi paesi hanno subito un declino che sembra inarrestabile.

Il progressivo invecchiamento della popolazione e la riduzione continua delle risorse disponibili ha portato a una contrazione dei consumi, quindi del reddito prodotto sul territorio e quindi ancora delle risorse disponibili anche per il sistema dei servizi locali (scolastici, di trasporto, di assistenza sanitaria, di raccolta rifiuti, di attività ricreative e sportive) mettendo a rischio la sopravvivenza stessa di tutte quelle comunità che non sono riuscite a trovare un aggancio con la parte più vitale e attiva del Paese.

 

Per questi centri minori, isolati dal flusso delle grandi masse turistiche o delle attività economiche, il turismo in generale, e quello rurale in particolare, può rappresentare una grande opportunità.

Il movimento turistico genera effetti diretti e indiretti positivi, soprattutto per la creazione di nuove imprese.

Il coinvolgimento delle fasce più giovani della popolazione limita l’effetto dello spopolamento e contribuisce allo sviluppo o almeno al mantenimento e conservazione dei presidi abitati, essenziali, se correttamente gestiti, per la tutela del territorio e dell’habitat naturale.

In questo contesto negli ultimi decenni si è assistito in Italia alla diffusione degli agriturismi – dizione burocratica ma per una volta ben trovata – che indica la trasformazione di centinaia di piccole aziende agricole, destinate a soccombere davanti all’efficienza ed economicità dell’agricoltura industriale estensiva, in strutture ricettive per un turismo meno invasivo e consumistico dove riscoprire sapori e atmosfere del passato.

La vivacità e l’importanza assunta di questo segmento del mercato turistico evidenzia in circa quindicimila (15.000) gli agriturismi presenti in Italia (dati ISTAT 2005) e lo sviluppo di questo settore porta come naturale conseguenza la necessità di differenziazione tra i singoli operatori.

Circa millecinquecento (1.500) di queste strutture offre quindi, oltre ai normali servizi di ristorazione e pernottamento, anche la possibilità di attività di equitazione, mettendo a disposizione dei clienti cavalli adatti, per indole e struttura, a visitare il territorio circostante con gli stessi ritmi del tempo precedente la motorizzazione. (NOTA 2)

A queste strutture si affiancano circa trecentocinquanta (350) centri di equitazione affiliati alla Federazione Italiana Sport Equestri che praticano attività di turismo a cavallo e oltre seicento (600) centri affiliati alla Fitetrec-ANTE, federazione sportiva specificamente legata al turismo equestre.

Questa struttura capillare di circa duemilacinquecento (2.500) punti richiama fortemente l’antica rete di stazioni di posta e conferma un ritorno all’esigenza e all’apprezzamento della riscoperta del nostro territorio in modo più discreto e ragionato, senza l’assillo della “quantità” di monumenti da vedere o di mete esotiche da conquistare.  (NOTA 3)

 

Sono stati così riscoperti i tracciati di antichi tratturi, lungo i quali si svolgeva la transumanza del bestiame che periodicamente veniva spostato alla ricerca e per lo sfruttamento dei pascoli più ricchi e verdi.

Questi percorsi, che per centinaia di chilometri attraversavano la nostra penisola, stavano per sparire, rimanendo solo patrimonio della memoria e di qualche citazione letteraria.

In alcuni tratti sulla dorsale appenninica solo leggeri avvallamenti del terreno segnavano il secolare passaggio degli armenti, ma sono stati riattivati e sono oggi percorsi da gruppi di cavalieri sempre più numerosi, desiderosi di riprovare l’emozione di un viaggio antico e la magia di luoghi lontani da ogni civiltà, immersi in una natura intatta e selvaggia.

 

Antesignano del moderno viaggiare a cavallo è stato il cantante Lucio Battisti che, pur non essendo un esperto cavaliere,  con l’amico e paroliere delle sue celebri canzoni Mogol, intraprese tra il 21 giugno e il 26 luglio 1970 l’avventura di andare da Milano a Roma con due cavalli portoghesi.

Il suo resoconto del viaggio dà con vivacità ed entusiasmo il senso della riscoperta di una dimensione diversa del modo di relazionarsi con la natura e le persone che si incontrano.

Anzitutto si domanda Battisti “Perché facciamo questo viaggio?”

“Per provare a noi stessi che possiamo farcela.

Per godere un vero contatto con la natura e per curarci dalle malattie della nostra vita di lavoro, di fretta, di angosciosa corsa contro il tempo.

Non c’è tempo?

Allora prendiamocelo!”

Continuando nel suo racconto ci riporta: “Sembrava facile e non lo è, sembrava bello ed è bellissimo!”

E prosegue descrivendo le campagne, i monti, i laghi e i fiumi incontrati, ma soprattutto la variegata umanità con la quale stabilisce un immediato contatto schietto e aperto, frutto di un accoglienza e di un’ospitalità ritrovata e rinnovata grazie forse anche alla mancata mediazione di una qualunque forma di “organizzazione”.

Il cavaliere che attraversa da solo un paese sperduto del centro Italia è guardato con la simpatia e il rispetto di chi sta facendo una fatica fisica personale per raggiungere un suo obiettivo, qualunque esso sia.

È meritevole di aiuto e assistenza perché affronta la giornata con le sue sole forze esattamente come il viandante di un tempo.

 

Come brillantemente descritto nel resoconto di Battisti, il passo lento e tranquillo del cavallo consente oggi di entrare quasi in punta di piedi in realtà naturali incontaminate, angoli preziosi e non rari del nostro territorio, spesso a pochissima distanza da convulse zone inurbate e industrializzate, ma difese dalla conformazione orografica della penisola. (NOTA 4).

Salendo una collina toscana, come lungo una vallata delle Prealpi, ci lasciamo presto alle spalle il rumore delle pianure industrializzate e commerciali.

Pochi chilometri possono spostarci molto più nel tempo che nello spazio, regalandoci la magia della riscoperta e della conquista personale.

E anche questo fa parte del fascino del nostro Paese che tutto il mondo ci invidia.

 

 

 

 

 

NOTA 1

E’ estremamente difficoltoso tradurre il valore di un prezzo antico in moneta corrente.

I rapporti tra i valori dei beni e servizi nelle diverse epoche sono completamente influenzati dalla situazione economica e soprattutto dai rapporti sociali del paese nel periodo di riferimento.

Rispetto all’epoca storica attuale, il benessere in passato era concentrato in poche famiglie che disponevano della quasi totalità delle ricchezze. Quindi il costo di beni e servizi utilizzati da quella classe abbiente non può trovare alcun collegamento con il costo della vita delle classi disagiate, che erano costantemente intorno ad un livello di mera sussistenza. Ad esempio un cappello di feltro di uso popolare poteva costare intorno a una lira nel periodo oggetto della presente indagine, mentre un medesimo cappello di feltro utilizzato dalle classi alte, per materiali e fattura, poteva costare dalle cinquanta alle ottanta lire. Un riferimento, che può dare un’idea rispetto ai valori attuali del costo del viaggio a Vienna, è lo stipendio di un operaio specializzato di un’officina meccanica che alla metà dell’Ottocento era di circa di una lira il giorno. Pertanto il costo del biglietto Milano-Vienna corrispondeva a circa cinque/sei mesi di stipendio. In realtà se pensiamo che il viaggio Milano-Vienna era comunque riservato ai membri delle classi più agiate, un raffronto logico si può fare con il costo di oggi per un viaggio aereo intercontinentale in business o in prima classe. In questi termini i rapporti di allora e di oggi non sono così lontani.

 

 

NOTA 2

I dati dell’ISTAT confermano la vivacità e l’importanza del settore degli agriturismi in Italia.

Le aziende agrituristiche sono cresciute dal 1998 al 2004 del 44%, superando le quattordicimila (14.000) unità. Nel 2005 negli agriturismi italiani si sono registrati 1,3 milioni di arrivi per 6,5 milioni di presenze. Quasi la metà delle presenze è straniera.

Lo sport e la natura sono dopo l’enogastronomia altri due elementi caratteristici dei servizi offerti dagli agriturismi. Nel 2005 il fatturato complessivo del turismo legato all’ambiente è stato pari a oltre otto miliardi di euro (dati quarto rapporto ECOTUR). Le aziende autorizzate all’esercizio di altre attività agrituristiche, diverse da quelle classiche della ristorazione, degustazione e pernottamento, sono oggi ottomiladuecentoquaranta (8.240), pari al 58,8% degli agriturismi italiani. Di queste millequattrocentonovantaquattro (1.494), cioè circa il 10% del totale, sono autorizzate ad offrire servizi di equitazione. La regione che vede il maggior numero di agriturismi con servizi di equitazione è la Toscana (230), seguita da Sardegna (154) Umbria (141) e Trentino Alto Adige (133).

La cultura e la tradizione del vino e della buona cucina, entrambi molto differenziati e caratterizzati territorialmente, sono tra le attrazioni principali per i turisti. Per gli stranieri in particolare, da un’indagine DOXA del 2006, la categoria “cucina e vini” nella scala del gradimento ha raggiunto 8,11 punti (su una scala da 1 a 10), preceduta solo da “cultura e arte” con 8,28. Sempre dalla stessa rilevazione DOXA emerge che il 34,5 % degli stranieri considera gastronomia e prodotti locali come tratti caratterizzanti delle regioni meridionali ancor più del clima favorevole (29,3%) e del mare e delle spiagge belle (24,6%). Sono valutazioni intuitive, ma vederle confermate da indagini analitiche e da cifre precise conforta e conferma che qui sta il potenziale maggiore di sviluppo e la specificità prevalente del nostro paese che fatica a mantenere la propria posizione in un contesto economico mondiale di sempre più feroce concorrenza nella produzione di beni di consumo.

 

 

 

 

NOTA 3

Scorrendo l’elenco dei circa centocinquanta percorsi di viaggi a cavallo proposti nel sito della FISE Federazione Italiana Sport Equestri per il 2007 ci si può rendere conto di quanto questo modo di viaggiare sia vario, interessante, lontano dal sistema standardizzato e attento alle specificità locali:

 

Alla scoperta dell’isola d’Elba

Blu come il mare delle Cinque Terre

Nella zona parmense di Noceto

A cavallo per i Monti Sabini

Sulle orme del Papa in inverno (ovviamente organizzato dal Centro Ippico Valdostano)

Capranica e Sutri

Cavallo e vini – i castelli del Chianti e le crete senesi

Trekking del Prosecco

Nelle terre della Vernaccia

La vera transumanza

I castelli del Friuli

Alla riscoperta delle bellezze e dei sapori marchigiani

Tour dei forti genovesi

Trekking della Serenissima

I tre regni della natura – a cavallo e in carrozza

Festa gitana e spettacolo di monta da lavoro

Battailes des Reines – la Battaglia delle Mucche

Rosa come il monte Rosa

Festa celtica nel bosco di Peterey (Aosta)

Bivacco nel versante del fiume

Alto  Molise in tenda

Cavalcando con i lupi

Trekking dell’orientamento – a cavallo con la carta topografica

Italia Francia attraverso il Piccolo San Bernardo

Sulle strade del sale dalla Carnia all’Austria

Trekking Colle dell’Orso

Alpages ouvertes – dove nasce la fontina

Incontro al fiume – da Ferrara a Bologna lungo le rive del Po e del Reno

Trekking del cervo – foresta del Cansiglio

L’alta via dei monti liguri

Fra le cantine del Friuli

 

 

NOTA 4

Spesso per il turismo equestre si utilizzano avelignesi o maremmani o comunque antiche razze da lavoro autoctone, più adatte all’asperità del territorio d’origine degli ormai iper-selezionati cavalli da competizione. E anche questo riutilizzo di vecchie razze che rischiavano l’estinzione è un recupero culturale importante, per difendere e conservare caratteristiche tipiche del nostro territorio e della nostra storia. In questo senso è oggi a rischio un animale fondamentale della nostra civiltà alpina come il mulo (incrocio sterile di asino e cavallo) che, dopo il “congedo” ricevuto pochi anni fa dall’esercito che ha ormai completamente motorizzato tutti i reggimenti alpini, non ha ritrovato un utilizzo economico che ne giustifichi la continuazione dell’allevamento.

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

Gianoli Luigi, IL CAVALLO E L’UOMO”, Longanesi, 1967

Isenbart H.H. e Buhrer E.M., IL REGNO DEL CAVALLO, Mondadori, 1970

RIVISTA MENSILE DEL TCI, anno IX, n. 2, Touring Club Italiano 1902

Gandini Francesco, VIAGGI IN ITALIA, vol. III, Tipografia di Ranieri Fanfani, Milano 1833

CENTRO STUDI TOURING CLUB ITALIANO www.touringclub.it

FISE, Federazione Italiana Sport Equestri www.fise.it

FITETREC – ANTE www.fitetrec-ante.it

MILANO-ROMA 1970 www.luciobattisti.info

LO SPERONE – Rivista mensile di equitazione della Riccardo RICAS editore, Milano – articoli vari degli anni ’70 a firma di Mauro Beta

 

 

RINGRAZIAMENTI

 

Un vivo ringraziamento al Dott. Rodolfo Martini, Conservatore del Gabinetto Numismatico del Castello Sforzesco di Milano, per il contributo essenziale nella ricostruzione dei valori delle lire austriache  rispetto alla valuta corrente.

Pubblicato su: “Viaggiar Lento – Andare adagio alla scoperta di luoghi e persone” – raccolta di saggi a cura di Roberto Lavarini – Milano, Hoepli 2008

 

 

 

Nota Biografica

Carlo Severgnini nasce a Milano nel 1952.

Consegue la maturità scientifica al liceo san Carlo e si laurea nel 1977 in economia e commercio all’Università Cattolica di Milano.

Inizia l’attività di commercialista nello studio professionale di famiglia, continuando la tradizione professionale del padre Guido, già iniziata dal nonno Achille Severgnini fin dal 1911.

Vive e lavora a Milano.

 

Affianca all’attività professionale diversi altri interessi tra cui in particolare:

–          L’UVI – Unione Volontari per l’Infanzia e l’Adolescenza ONLUS che da cinquant’anni assiste nella città di Milano minori in situazione di disagio familiare o sociale.

–          La Raccolta Stampe Achille Bertarelli, sezione del Civico Museo d’Arte Applicata del Castello Sforzesco di Milano che segue come presidente dell’Associazione degli Amici della Raccolta Bertarelli.

–          Legato da sempre in modo particolare al mondo del cavallo, ha ricoperto diversi incarichi sia nella FISE (federazione sportiva di settore) sezione regionale lombarda, sia in diverse associazioni di promozione e organizzazione sportiva dilettantistica.

–          Per tradizione familiare ha sempre amato viaggiare alla scoperta de “l’altro rispetto a noi” come mezzo per meglio comprendere le realtà naturali, sociali e umane diverse dalle nostre, per confrontare e mettere meglio a fuoco la nostra stessa esistenza.

 

Da sempre interessato alla poesia incontra circa una decina d’anni fa Donatella Bisutti che lo aiuta a conoscere e approfondire la tecnica e i meccanismi della poesia.

Collabora con Donatella Bisutti alla rivista “Poesia e Spiritualità” nell’organizzazione della residenza di scrittura in Framura, sulla riviera del levante ligure, cui sono stati invitati negli anni diversi poeti prevalentemente stranieri tra cui:  Titos Patrikios (Grecia), Franco Loi, Muhammed Bennis (Marocco), Tugrul Taniol (Turchia), Mark Strand (USA).

 

I suoi autori preferiti sono: Adonis, Titos Patrikios, Attilio Bertolucci e per la prosa Marguerite Yourcenair.

 

 

 

Ha pubblicato:

 

“A cavallo nel milanese”, 2000 – Fucina editore, Milano

“I cavalli, i cani e… la volpe?”, 2001 – Società Milanese per la Caccia a Cavallo, Milano

entrambi sulla storia dell’equitazione di campagna in Lombardia e nella pianura padana.

 

“Confini di sabbia e altri confini”, 2006 – Edizioni Nuove Scritture, Milano

racconti di viaggio in Norvegia e  in riva al Mediterraneo alla ricerca dei punti di contatto e sovrapposizione, di scontro e integrazione fra le diverse culture che vi si sono succedute

 

“Col cavallo nel Bel Paese e altrove” in “Viaggiar Lento” , 2008 – raccolta di saggi a cura di Roberto Lavarini, Hoepli Editore, Milano

ricostruzione del modo di viaggiare nel passato sulla rete delle stazioni di posta, con un’analisi delle mutate motivazioni di viaggio nel ‘900 e della riscoperta attuale del turismo equestre come riconquista del territorio e delle radici culturali.

 

“Per un tempo più lento” 2013 – Galleria Bolzani, Milano – raccolta di poesie, scritte tra il 2000 e il 2012 e fortemente ispirate dall’ambiente e dalla natura selvaggia di Framura sulla costa ligure di levante.

 

Inoltre alcune sue poesie sono state pubblicate su :

“La Clessidra” rivista di poesia e letteratura

“Milano in versi – una città e i suoi poeti” , 2006 – raccolta a cura di Angelo Gaccione, Viennepierre Edizioni

 

 

Milano, aprile 2014

Carlo Severgnini