Hemingway, grande cronista. Come scrittore, meglio Steinbeck, vero?

Quando la verde Medusa pubblicò ‘Il vecchio e il mare’, un Hemingway molto più magro di quello di ‘Addio alle armi’, avevo tredici anni e, già malato di letture che mi portavano da ‘Tex’ a ‘La storia di Pipino nato vecchio e morto bambino’ fino alle struggenti poesie pascoliane che disegnavano la mia Romagna dentro e fuori, ebbi l’impressione d’essere imbrogliato: per le dimensioni, il prezzo e una lotta fra un uomo e un pesce che, davanti all’Adriatico e la sua saraghina, da riminese non capivo.

Mise a posto le cose, più tardi, Spencer Tracy nell’omonimo film, ma il Pulitzer e il Nobel proprio non mi parevano adeguati al romanzetto.

I più grandi potevano magari dirmi ‘gnurent, sta zett’, ma preferivano precisare che “il Nobel, in fondo, l’avevano dato all’intera opera di E.H.”, e forse erano d’accordo con me.

Una ventina d’anni dopo mi capitò una fortuna, ovvero di lavorare al ‘Carlino’ – per breve tempo, ché mi morì sotto gli occhi – insieme a Giuseppe Trevisani, quel disordinato geniale giornalista & grafico che aveva tradotto ‘I quarantanove racconti’, l’opera di Hemingway che ormai conoscevo a memoria e che i più citavano come alibi non avendo letto altro di ‘Papà’ Ernest.

“Sì, ‘Fiesta’ è un buon libro, grande anche ‘Per chi suona la campana’ – dicevano –  ma vuoi mettere  i ‘Quarantanove racconti’?”.

Era il mio pensiero, ma non  gratuito, perché io avevo letto tutto, di E.H., anche ‘Verdi colline d’Africa’.

In un breve scambio di battute, il primato dei racconti me lo confermarono prima Oreste del Buono eppoi Gianni Brera.

E di quest’ultimo, del Gioann, voglio dire che mi parve per tutta la vita – ci siamo bazzicati per trent’anni – il mio Hemingway privato, proprio come lui diceva di Giovanni Arpino, prima di detestarlo, “Il mio Nobel privato”.

Avevamo trovato nei racconti di E.H. soprattutto il giornalista, anzi il cronista, addirittura il cronista sportivo che scriveva di boxe, cavalli e corride essendoci dentro: sicuramente a bordo ring, nelle scuderie, in tribuna nella plaza de toros.

E Brera – rileggetelo – ci dava dentro alla Hemingway, nelle sue storiche cronache, e gli venivano così bene che ogni tanto provava a metterci insieme anche un libro come ‘Il corpo della ragassa’ ma senza successo, dimenticando per passione e ambizione che la sua forza vera, alla fine, erano i suoi mille e passa racconti.

Per dirvi la mia, infine, ho sempre preferito leggere Steinbeck, e se è vero – verissimo – che sono stato a l’Avana a bere un mojito alla ‘Boteguita (del Medio)’ e un daiquiri al ‘Floridita’ in omaggio a Hemingway, è sicuro che mi son trovato meglio a Salinas a bere una coca davanti alla casa verdina del grande John.

Com’era bravo, Steinbeck, e che racconti, che cronache…

Ehm ehm, ho letto che un ricercatore ha scoperto nei reportages di J.S. più fantasia che realtà.

Può essere.

In fondo lui m’è piaciuto come scrittore, Hemingway soprattutto come cronista.

Il più grande.

Il maestro dei maestri.

Dio l’abbia in gloria.

Italo Cucci