Cave a signatis

“Hai mai notato che nei film di Truffaut c’è quasi sempre qualcuno che corre?”
Parlava guardando l’amica e non si era accorta di lui.
Graziosa, non bella, aveva dei folti capelli scuri e il naso aquilino.
Portava un cappotto beige e delle scarpe non troppo alte color tortora.
Erano orribili, pensò lui cercando di vederle gli occhi.
“E poi c’è spesso quell’attore magro, basso, che recita in modo nervoso.
Quello che in Effetto Notte va a letto con la Bisset e poi fugge in auto… o una cosa del genere.”
L’altra non la seguiva.
Era occupata a leggere il volantino del multisala.
Aveva voglia di una commedia americana e non di un noioso polpettone francese.
Non avrebbe assecondato Claudia.
Tutta quella manfrina su Truffaut e colleghi era studiata.
Davano Borsalino con Delon nelle sale dedicate al cinema d’autore e sicuramente lei voleva trascinarcela.
“Jean Pierre Léaud”, si intromise quel tale con tempismo perfetto.
“Mi scusi?”, finalmente si accorse di lui.
Lo guardò incuriosita, ma con fredda circospezione.
Non le piaceva essere abbordata alla biglietteria di un cinema di provincia.
Aveva un che di dozzinale che le fece stringere i pugni sulla borsetta di seta.
Gli occhi erano nocciola, notò lui incolume all’improvviso gelo: una donna dal cappotto beige e i capelli spettinati che amava i film francesi e Truffaut non poteva che avere gli occhi scuri.
Per un attimo pensò a Mathilde nel leggero vestito giallo durante la merenda in giardino, prima di svenire, prima che Bernard la trascinasse davanti agli ospiti scuotendola per le spalle.
“Il nome dell’attore di cui stava parlando.
E’ Léaud.
Mi perdoni se mi sono intromesso ma adoro Truffaut: era un uomo innamorato del cinema.
Piacere, Leonardo Risi”.
Lei non si presentò e si voltò nuovamente verso la compagna.
“E’ diventato grasso e anziano.”
Aggiunse lui sempre con voce sicura e divertita.
“Chi?”
“Léaud.
Non lo riconoscerebbe.”
“Conosco forse lei?”
“No, per questo mi sono presentato.
Mi scusi per l’intrusione, come dicevo, è stato più forte di me.” Fece per andarsene e lei capì di essere stata tremendamente scortese.
Senza motivo poi.
“Sono Claudia Arrighi.
Amo anche io i film francesi, ma credo che per oggi mi tocchi una commediola americana.
La mia amica Gloria non mi lascia scampo.
Decide lei.”
Si sorrisero, si strinsero la mano e lei si sentì in difficoltà.
Strizzò di nuovo la pochette infilandovi parte delle unghie.
Erano nere, quella sera.
“Buona visione allora e spero di rivederla presto.
Magari in sala azzurra, danno Borsalino.”
“Lo so…” fu interrotta dalla voce ironicamente spazientita di Gloria, “Ci andiamo anche noi.
Tieni, ecco i biglietti, sono tua amica o no?
E poi non c’era altro che mi interessasse.
Una noia il cartellone stasera”.
Poi, rivolta a lui:
“Piacere, sono Gloria.
Mi è parso di capire che anche lei ama la filmografia francese.
Mah, o io sono una vera idiota o sono più pratica di voi due.
A me non dice nulla, ma Delon giovane penso basti e avanzi.
Andiamo Cla.
Arrivederci.”
Prese la mano dell’amica e la trascinò verso l’ingresso blu della sala.
“Non male il Truffaut che hai conosciuto, non male…”
Belmondo le piacque più dell’impomatato e bellissimo Delon.
Adorò i vestiti e le ambientazioni, ma non essendo Truffaut né tanto meno Sautet, uscì insoddisfatta rimpiangendo le parole non dette, gli sguardi misteriosi e i sottintesi che qui non aveva trovato.
Leonardo le si materializzò accanto al bar.
Aveva il bavero del cappotto alzato e parte del volto non si vedeva.
Dov’era finita Gloria?
“Ha freddo?”, gli chiese.  “Trovo si soffochi in questi cinema.”
Le parve un modo innocuo di attaccare bottone, un po’ come parlare del tempo che fa, si sentiva sicura sul territorio impersonale delle previsioni meteo.
“Ha ragione, forse mi nascondo per vanità”, le sorrise Leonardo abbassandosi il bavero e mostrando senza timidezza una lunga cicatrice sulla guancia destra.
“Perdoni.
Non mi faccio mai gli affari miei ma prima non avevo notato nulla” e Claudia accostò le mani al viso per nascondere il rossore e l’imbarazzo.
“Nessun problema, è difficile da coprire e a dirle la verità ci sono quasi affezionato.
Fa parte di me, della mia storia”, lo disse con enfasi mentre con un cenno del capo chiamava il barista.
“Beve un bicchiere di vino?”
Si avvicinò ad un tavolino spostando una sedia nella sua direzione e Claudia, incuriosita dal fascino indecifrabile di quell’uomo si sedette senza rispondere.
“Un prosecco, grazie”
“Due.”
Il cameriere se ne andò con l’ordinazione e Leonardo iniziò a parlare.
“Ero un ragazzo, studiavo a Napoli, alla Federico II.
Amavo la giurisprudenza, il clima della città e una ragazza con cui condividevo un piccolo bilocale al Vomero.
Si chiamava Arianna.
Era iscritta a Storia dell’Arte.
Ricordo che sul suo letto c’era una stampa di Schiele, ha presente la donna mezza nuda in calze verdi?
Con i soliti capelli rossi, le dita lunghe e nodose e quello sguardo allucinato che tanto piaceva a quel pazzo..”
“Si più o meno”, disse lei in un soffio, già immersa nelle immagini di quel racconto.
Nemmeno a dirlo adorava Schiele.
Le coincidenze con quell’uomo iniziavano ad essere troppe e pericolose.
“L’appartamento era suo.
Il padre era un avvocato famoso, ricco e con uno studio in stile liberty in Piazza Vanvitelli che solo a vederlo mi faceva girare la testa.
Amavo lei e desideravo lavorare con lui.
Non lo nascondevo.
Non sono mai stato bravo a fingere.
Del resto avevo tutti trenta e ad attendermi a fine corso avrei avuto molte proposte.
Ero in gamba ed ambizioso.
Non napoletano, ok, e questo giocava a mio sfavore.
Ma Arianna mi voleva bene e sua madre stravedeva per me, già mi chiamava genero…
Accadde che lei rimase incinta.
Non voleva tenere il bambino ed io persi la testa.”
Bevve un sorso, si schiarì la voce e la fissò serio e cupo.
“Perché in queste situazioni le donne possono decidere e noi no? L’avrei sposata immediatamente.
Mi mancava pochissimo alla laurea, non avremmo avuto nessun ostacolo.”
Non le diede tempo di rispondere, continuò con un tono monocorde, appena percettibile nel brusio del locale.
“Arianna diceva di essere tropo giovane, di non sapere nemmeno se ne avrebbe mai voluti di bambini, non sentiva lo spirito materno.
Ripeteva senza una lacrima che era una decisione sua, che forse avrebbe fatto meglio a non dirmi nulla…
Vidi rosso.
Era una stupida egoista ed io mi sentivo impotente.
La presi per le spalle e la strinsi.
Forse un po’ troppo forte.
Ebbe paura e mi gettò addosso un vaso di cristallo.
Conteneva delle incantevole gerbere.
Gliele avevo comprate io per festeggiare non appena mi aveva dato la notizia al telefono, poche ore prima.
Il cristallo va in mille pezzi, penso lo sappia… ed ecco il risultato.”
Bevve un sorso di vino e poi stette zitto fissandola sereno come se le avesse appena raccontato una divertente barzelletta.
Ma come?
Non c’era un seguito?
Non osava chiedergli nulla, ma la sua bocca spalancata dalla sorpresa bastò a farlo continuare.
“Me ne andai perché ebbi paura di quello che le avrei potuto fare.
Non ho più voluto sapere nulla di lei.
Pensi che mandai un amico a prendere i miei abiti e le mie cose.
Mi laureai e venni al Nord.
Adesso lavoro in uno studio internazionale di Milano”.
Estrasse dalla tasca un biglietto da visita e glielo porse.
Poi si alzò e andò a pagare.
Sembrò scomparire nella confusione dell’enorme multisala e in quel mentre arrivò Gloria.
“Eccoti finalmente.
Scusa, mi sono fermata a parlare con Emma, te la ricordi?
La mia compagna di aerobica.
Tu non sai cosa mi ha detto…
Claudia, ci sei?
Ehi, mi senti?”
Claudia sollevò gli occhi, non si era nemmeno accorta dell’arrivo dell’amica.
Era ancora persa nelle immagini di quel racconto.
Guardava il nome di Leonardo stampato su quel pezzetto di carta e pensava che  sarebbe stato interessante approfondire la conoscenza.
Forse anche pericoloso.
Era attratta, come tutte, da questo genere di situazioni.
Cercò di radunare pensieri e parole concentrandosi su Gloria.
Sospirò un po’ innervosita da quell’interruzione e da quel ritorno repentino alla realtà e le chiese, senza troppa enfasi, quali fossero queste novità.
“Ci ha viste chiacchierare con quell’uomo.
Quello dei film francesi, no?
Lei lo conosce.
Tutti o quasi qui lo conoscono.”
Claudia d’un tratto ritrovò tutto l’interesse per quanto aveva da dire questa Emma.
“E’ un gigolo.
Di quelli d’alto bordo, di quelli che sembrano usciti da un libro, intellettuali e misteriosi.
Mi ha detto che è terribilmente bravo, caro e fanfarone.
Fa cadere le falene nella sua trappola raccontando una storia romantica su una cicatrice che ha in faccia.
Gliel’avevi vista?”
“No…” sussurrò lei impallidendo.
“Ogni volta è una fandonia nuova.
I protagonisti cambiano sempre.
Pare che alcune sappiano già che è un gigolo, ma si facciano abbindolare per curiosità o noia.
Peccato non averlo saputo.
Quasi quasi…”
Gloria rise in modo esagerato dando una sonora pacca alla spalla dell’amica e poi, ritrovando un po’ di compostezza:
“Ma con chi stavi bevendo?”

Federica della Porta Rodiani